Dora Maar è stata una fotografa, poeta e pittrice.
Nata col nome di Henriette Theodora Markovitch a Parigi il 22 novembre 1907, era figlia un’imprenditrice di moda francese e di un architetto croato, autore del padiglione della Bosnia Erzegovina all’Esposizione universale di Parigi del 1900. A causa del lavoro del genitore, che aveva importanti incarichi a Buenos Aires, trascorse l’adolescenza tra Parigi e la capitale argentina dove ebbe modo di conoscere da vicino il mondo dell’arte e le nuove correnti architettoniche.
Negli anni Venti, grazie alla sua attitudine anticonformista e all’amore per l’arte, riuscì a farsi largo in un mondo ancora piuttosto ostile alla presenza femminile.
Fu l’incontro con la fotografia a liberare il suo potenziale espressivo: cominciò a frequentare i primi studi e camere oscure in condivisione con altri fotografi, ottenendo numerose commesse da parte di varie riviste di moda.
Adottò il nome d’arte Dora Maar faceva lavori commerciali ma si specializzò nella fotografia di strada, rappresentando la sofferenza di mendicanti e vagabondi che riempivano le città a causa della Grande depressione. Elaborava i soggetti delle foto attraverso montaggi e manipolazioni della pellicola.
Viaggiò molto e spesso da sola attraverso l’Europa.
Denunciava le diseguaglianze sociali, la disperazione in cui versava gran parte della popolazione, era schierata dalla parte dei diseredati, la sua istintiva inclinazione per il misterioso, il magico e il soprannaturale la avvicinarono al gruppo surrealista di cui firmò il manifesto del 1934 Appel à la lutte.
Le sue opere furono esposte nelle mostre del gruppo.
Attiva nella formazione Contre-Attaque, creata nel 1935 da Georges Bataille e André Breton, considerava la rivoluzione sociale come la sola alternativa possibile alle condizioni disumane nelle quali vive la maggior parte del pianeta.
Iniziò poi a lavorare con Man Ray, di cui fu spesso modella per i suoi progetti artistici.
Il surrealismo, applicato alla fotografia, le permise di esprimere le proprie visioni, alterando la pellicola per creare fotomontaggi evocativi: con questa tecnica, la fotografia non si limitava più a essere un mezzo per documentare la realtà come era stata considerata fino a quel momento, ma entrava nella dimensione dell’arte.
L’universo di Dora Maar era fatto di arte infantile, mondo dei sogni, primitivo, erotismo e l’inquietante stranezza del quotidiano.
La sua opera si distingueva per una limpidezza formale e un’emozione diretta.
Era nel pieno del suo fermento e estro quando conobbe Pablo Picasso, nel 1935. Tra i due scoppiò una grande passione nonostante lui fosse ancora sposato e avesse un’altra amante.
Tra di loro c’era una grande intesa intellettuale, fu lei che gli ispirò Guernica di cui documentò tutta l’evoluzione con degli scatti fotografici che furono pubblicati nella rivista Cahiers d’art del 1937.
La loro fu una relazione sbilanciata, quella donna così indipendente, libera e piena di creatività, si piegò totalmente sotto il narcisismo di Picasso che provava gusto a umiliarla, le impedì di continuare a fotografare, da artista celebrata la trasformò in musa silente.
La dipinse in numerosi ritratti che la vedono in lacrime e dolente, la definì “l’incarnazione stessa del dolore”. I quadri rappresentano tutti una figura femminile snaturata, privata della sua identità e spersonalizzata.
Fu talmente schiacciata e annullata da questa relazione andata avanti per nove anni, che fu ricoverata in una clinica psichiatrica e sottoposta a numerosi elettroshock. Venne presa in cura dallo stesso psicanalista di Picasso, Jacques Lacan che la convinse a dichiararsi malata.
Dopo la guerra tornò a dipingere, realizzando una serie di quadri astratti, ma non fotografò mai più.
Sicuramente la storia con Picasso le devastò la psiche, ma non è stato l’artefice del suo destino. L’arte di Dora Maar, il suo pensiero creativo, le sue immagini trasgressive, provocatorie, oniriche, i suoi spiazzanti fotomontaggi, esprimevano una libertà inconciliabile con la società della sua epoca.
L’orrore del nazismo e della guerra piegarono fortemente il suo animo e la sua sensibilità, che è riuscita a sopravvivere, a ricostruirsi, a tornare a fare arte.
Picasso non l’ha spezzata, non si è ammazzata, come la maggior parte delle donne che hanno avuto la sfortuna di innamorarsi di lui.
È morta a Parigi, tanto tempo dopo, il 16 luglio 1997.
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