Credo che vivere l’opera d’arte in maniera totale – quindi anche su un piano realmente autobiografico – sia un modo intenso e generoso di stare al mondo.
Chiara Fumai, artista femminista che ha lasciato un segno indimenticabile nell’arte contemporanea.
Nata a Roma il 22 febbraio 1978 e cresciuta a Bari, ha avuto fin da subito una carriera promettente, il suo grande talento è stato presto apprezzato. Si è laureata in architettura al Politecnico di Milano e frequentato il Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti.
Originariamente attiva come DJ e musicista techno si è resa nota nelle gallerie italiane con le sue opere video e performance dal vivo.
Ha lavorato principalmente con la fotografia, la video-art e le performance, rappresentando il linguaggio e la cultura mediatica contemporanea attraverso un’ottica femminista.
Una delle prime opere, del 2008, dal titolo Chiara Fumai presenta Nico Fumai, presentava una figura paterna immaginaria trasformata in cantante pop anni ’80, sottolineando i meccanismi mediatici della televisione italiana di quei tempi.
Nel 2012 ha partecipato a dOCUMENTA (13), una delle manifestazioni dedicate all’arte contemporanea più prestigiose al mondo, con The Moral Exhibition House, uno spazio di insurrezione femminista sotto forma di spettacolo da baraccone, in cui omaggiava Zalumma Agra e Annie Jones, artiste circensi vissute nell’Ottocento in una casetta bianca in cui i mobili erano sottosopra.
Nel 2013, con un’opera che denunciava il maschilismo del mondo artistico ha vinto il Premio Furla creando una propaganda fittizia del Manifesto SCUM di Valerie Solanas, trattato politico femminista radicale e critico nei confronti della società, che rifletteva la prima campagna politica di Silvio Berlusconi dal titolo Chiara Fumai legge Valerie Solanas.
Nella videoinstallazione The Book of Evil Spirit del 2015, ha recitato il ruolo della famosa sensitiva ottocentesca Eusapia Palladino durante una seduta spiritica nell’atto di rievocare gli spiriti della donna barbuta Annie Jones, della scrittrice Ulrike Meinhof e della filosofa Carla Lonzi. L’opera voleva rendere visibile la diversità di figure femminili marginali e omaggiare grandi pensatrici del passato che hanno contribuito a rivoluzioni sociali.
Nei suoi lavori ha sempre scelto figure di donne energiche, determinate, in alcuni casi furenti nei confronti di un mondo che non ne riconosceva il ruolo e l’importanza, scelte apposta per il loro atteggiamento militante e combattivo.
Chiara Fumai è stata l’interprete di un femminismo energico. Nonostante questo, la sua personale energia, l’incessante ricerca e sete di conoscenza della storia delle donne che motivava e ispirava le sue opere è stata messa a dura prova da una forma di depressione che l’ha assediata per anni.
Il 16 agosto 2017 a soli 39 anni si è tolta la vita. È stata trovata impiccata, all’interno della galleria Doppelgaenger a Bari, dove era ospite da qualche giorno.
Una delle sue opere, la serie di mappe murali intitolata This last line can not be translate, oltre a farle vincere il Premio New York nel 2017, è stata esposta postuma alla Biennale di Venezia del 2019.
Dopo la sua scomparsa, nel 2018, è stata creata l’associazione The Church of Chiara Fumai per preservarne e promuoverne la memoria e che ha donato molti degli oggetti utilizzati dall’artista nel corso delle sue esibizioni al Centro di Ricerca del Castello di Rivoli, il cui museo ospita una delle collezioni di arte contemporanea più apprezzate nel nostro Paese.
Recentemente il Comune di Bari ha deciso di dedicare alla memoria di Chiara Fumai un giardino sul lungomare.
Era brava, colta, dissacrante, intelligente, combattiva, ma non è riuscita a sconfiggere il terribile mal di vivre che l’accompagnava da tempo.
Lasciando la terra, ha deprivato il panorama artistico italiano e internazionale del suo importante contributo.
#unadonnalgiorno