femminismi

Carla Lonzi

Carla Lonzi

Il femminismo mi si è presentato come lo sbocco possibile tra le alternative simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo”.

Carla Lonzi è stata critica d’arte, editrice, scrittrice, poeta e, sopra ogni cosa, femminista.

Teorica e iniziatrice dell’autocoscienza e del femminismo della differenza ha portato un cambio di prospettiva, il gesto imprevisto di porsi fuori dalla cultura e dalle istituzioni, come ella stessa ha scritto è stato: uno sconquasso e anche una festa.

Nata a Firenze il 6 marzo 1931 da una famiglia della media borghesia fiorentina, madre insegnante e padre industriale con cui è stata sempre in conflitto, il suo desiderio di autonomia, di allontanamento dalla famiglia, l’ha portata a decidere di andare a studiare, a soli nove anni, in collegio. Dopo il liceo classico si è trasferita a Parigi, ma è rientrata presto per problemi di salute. Si è laureata con lode in Storia dell’arte con la tesi su Rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell’Ottocento, pubblicata molti anni più tardi.

Come critica d’arte, piena di talento, creatività e intelligenza, ha curato mostre prestigiose e viaggiato tanto.

Con il passare degli anni è stata sempre più attratta dalle dinamiche relazioni e di potere uomo-donna che dall’arte come elemento slegato dalla contemporaneità. Ha denunciato apertamente ingiustizie, prevaricazioni e comportamenti retrogradi ai danni delle donne, ritrovandosi isolata dall’entourage a cui apparteneva.

L’attività di critica si è conclusa nel 1969, col suo libro Autoritratto, che riporta i colloqui registrati, assoluta novità per i tempi, con tredici artisti e artiste, con particolare rilievo al dialogo con Carla Accardi, da cui ha cominciato a maturare la presa di coscienza femminista e l’attenzione alla soggettività femminile. Ha concluso negando il ruolo della critica, in quanto potere e ideologia sull’arte e sugli artisti.

Dell’arte le interessava non l’opera, il prodotto, ma il manifestarsi dell’autenticità dell’artista. È questo il filo comune al suo lavoro di critica, alla scrittura poetica, al femminismo.

Mettendo in discussione il ruolo della critica ha provato a sottrarre l’arte al ‘mito culturale’ per permettere alla creatività di entrare in rapporto con l’autenticità.

Con Elvira Banotti e Carla Accardi, nel 1970 ha fondato il gruppo Rivolta Femminile che è stato anche una casa editrice per cui ha redatto il Manifesto di Rivolta Femminile. Il testo, redatto in sessantacinque frasi brevi e lapidarie, contiene tutti gli argomenti d’analisi che il femminismo ha fatto propri: l’attestazione e l’orgoglio della differenza contro la rivendicazione dell’uguaglianza, il rifiuto della complementarità delle donne in qualsiasi ambito della vita, la critica verso il matrimonio, il riconoscimento del lavoro delle donne come produttivo e la centralità del corpo e la rivendicazione di una sessualità soggettiva e svincolata dalle richieste maschili.

A partire dal primo gruppo romano ne vennero fondati altri in diverse città. Tutti nati attorno alle pratiche, del separatismo e dell’autocoscienza: del partire dalle relazioni tra donne, del partire da sé e del fare pensiero di questa esperienza.

Sempre nel 1970 ha scritto e pubblicato Sputiamo su Hegel, in cui critica l’impostazione patriarcale della politica marxista e comunista invitando le donne a prendere posizione nella società patriarcale.

L’anno seguente è uscito La donna clitoridea e la donna vaginale, in cui, attraverso un confronto con fonti che vanno dalla psicanalisi alla paleoantropologia fino ai testi indiani del Kamasutra, sostiene che il mito dell’orgasmo vaginale è funzionale al modello patriarcale della complementarità della donna all’uomo. Se nel momento procreativo tale complementarità tra donna e uomo è ammessa, non lo è invece nel momento erotico-sessuale.

Con quest’opera ha posto il piacere come uno degli aspetti centrali della formazione dell’identità, individuando il ruolo della donna rispetto all’aggressività primitiva dell’uomo. Lo scritto, suscitando varie discussioni all’interno dei gruppi femministi, aveva portato ad approfondire la necessità di mettere in questione il desiderio e la possibilità di essere un soggetto che può identificarsi nella donna senza negare la differenza sostanziale con l’uomo.

Nel 1973 ha lasciato il gruppo della Rivolta Femminile e l’anno successivo è uscita la collana Libretti verdi, che comprende la ristampa dei suoi scritti, tra cui i testi firmati da Rivolta Femminile.

Nel 1978 ha pubblicato Taci, anzi parla. Diario di una femminista, con un approccio autobiografico di nudismo esistenziale in cui vengono messe in luce le tappe della sua vita facendo emergere il suo impegno politico femminista. Prendendo il via dalla fine dell’amicizia con Carla Accardi e dal suo distacco dal mondo dell’arte, in questo libro cambia la sua concezione dell’artista, che dapprima aveva esaltato come autentico e libero e che invece parteciperebbe alla marginalizzazione e all’esclusione delle donne, incitando ad abbandonare la strada della creatività di tipo patriarcale e imboccare quella dell’autocoscienza femminista.

Nel 1980 ha inaugurato la nuova collana Prototipi con Vai pure, che riporta i dialoghi più significativi avvenuti tra lei e il suo compagno, l’artista Pietro Consagra.

È morta il 2 agosto 1982 a Milano in seguito a un cancro.

Il suo contributo è stato cruciale nel dibattito italiano. L’intelligenza della realtà, la profondità delle analisi, la dote di saper cogliere nel reale ciò che limita la libertà femminile e ciò che invece è in grado di realizzarla, la capacità di mettere al mondo ciò che l’ordine dato non ha previsto, sono la sostanza della sua riflessione.

Per anni le sue opere sono circolate solo attraverso fotocopie, pdf, fotografie scattate male, frasi copiate a penna e passate di mano in mano, di donna in donna, di generazione in generazione. Con la loro forza prorompente e il valore sociopolitico, hanno delineato un punto di partenza, un modello di riferimento e fonte di ispirazione per moltissime attiviste.

Dopo essere rimasti a lungo assenti dagli scaffali, sono recentemente tornati in libreria grazie a Claudia Durastanti, direttrice della casa editrice La Tartaruga, creata nel 1975 da Laura Lepetit che oggi fa parte del gruppo editoriale La Nave di Teseo.

Carla Lonzi, con la sua esistenza e con i suoi scritti, che della sua vita sono il frutto, ha mostrato che la libertà femminile è l’imprevisto che apre ad altri imprevisti.
Guidata dal suo grande amore della libertà, ha mostrato la via di accesso a un mondo nuovo possibile, facendoci vedere che amore del mondo e amore di sé non divergono.
Nel 2017, suo figlio, Battista Lena, ha donato tutto il suo archivio, scritti, note, appunti, diari, a quello che è diventato il Fondo Carla Lonzi ospitato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Questo grande patrimonio storico e archivistico che rappresenta ancora oggi un atto politico, generativo e di lavoro radicale della memoria, minaccia di sparire dalla pubblica fruibilità perché la nuova direzione del museo ha deciso di non rinnovare il comodato d’uso.
Un ulteriore attentato alla cultura e alla storia di un’Italia che naviga sempre più ostinatamente verso una deriva reazionaria.
#unadonnalgiorno

 

 

 

 

 

 

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