È il 1966 quando Roberta Gibb si iscrive alla maratona di Boston.
Le viene riposto dagli organizzatori che la corsa è aperta ai soli concorrenti maschi e che le donne non sono fisicamente in grado di correre una maratona.
Lei non si arrende e ci va lo stesso affrontando un viaggio di quattro giorni.
Per timore di essere riconosciuta e cacciata prima ancora dell’inizio dai giudici di gara, si nasconde fra i cespugli e si confonde fra i 540 iscritti senza dare nell’occhio.
I concorrenti se ne accorgono nonostante indossasse una maglia che copriva le sue forme e la coprono.
“Non permetteremo a nessuno di cacciarti. La strada è di tutti”.
La gara inizia. Roberta è consapevole di non essere solo una donna che corre quel giorno.
Non è solo quella che si è allenata per 700 giorni per essere lì.
Roberta Gibb in quel momento è un simbolo per tutte le donne del mondo.
E corre, determinata e forte, fino alla mitica Heartbreak Hill, la collina che ti ammazza perché sega le gambe a tutti quelli che corrono Boston.
E la salita non perdona: Roberta pensava di non farcela.
Eppure proprio nel momento peggiore si è detta che un ritiro non era ammissibile, che sarebbe stato come dare ragione ai giudici di gara, che le donne avrebbero fatto un passo indietro di decenni se avesse gettato la spugna.
Con i piedi sanguinanti per le scarpe troppo piccole, con i crampi per la disidratazione (perché al tempo si pensava che idratarsi facesse venire i crampi) stringe i denti e va avanti.
E taglia il traguardo.
Roberta “Bobbi” Gibb è la prima donna senza la quale non ci sarebbero state migliaia di donne a correre una maratona, dimostrando che fisicamente niente le può fermare.