Sono assolutamente convinta che il rischio sia parte del mio lavoro; il lavoro di una giornalista russa, e non posso fermarmi perché è il mio dovere.
Credo che il compito di un dottore sia guarire i pazienti, il compito di un cantante è cantare. L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede.
Anna Politkovskaja, giornalista e voce critica di Vladimir Putin e dell’intervento militare in Cecenia, viene ammazzata il 7 ottobre 2006 nell’ascensore di casa sua, solo per aver fatto il proprio lavoro.
In base alle registrazione delle telecamere a circuito chiuso vengono incriminati tre uomini, un ex ufficiale anticrimine della Polizia Municipale di Mosca e due fratelli di origini cecena.
Un ex ufficiale del FSB (i moderni servizi segreti russi) viene accusato di abuso d’ufficio e estorsione.
I funerali si svolgono il 10 ottobre a Mosca, partecipano più di mille persone, fra cui i colleghi e semplici ammiratori della giornalista, ma nessun esponente del governo russo.
Il presidente Putin, pochi giorni dopo l’omicidio, in una conferenza stampa affermerà che la Politkovskaja “era ben conosciuta fra i giornalisti, gli attivisti per i diritti umani e in Occidente. Comunque, la sua influenza sulla vita politica russa era minima”.
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