Che cosa aspettiamo per dire la nostra? Lasceremo sempre al genio maschile il compito di delineare i nostri ritratti, di descrivere il cammino della nostra mente, i segreti della nostra sensibilità, le passioni del nostro corpo? Gli scrittori disincarnano e trascendono, le donne. immerse nella materia, alle prese con il limo originale… incarnano.
Alice Rivaz, ousider della letteratura del Novecento, è stata la maggiore scrittrice di lingua francese della Svizzera romanda. Aveva una penna elegante, asciutta, mai banale, dal carattere ironico e sferzante e un’autonomia fuori dalle convenzioni.
Diplomatasi in pianoforte al Conservatorio, non ebbe modo di coronare il sogno di diventare concertista.
Affamata d’indipendenza, nel 1925, venne assunta al Bureau International du Travail di Ginevra dove ha trascorso la sua intera carriera lavorativa. È stata prima dattilografa, poi archivista e infine redattrice.
Nel 1940 è uscito il suo primo romanzo, Nuvole fra le mani, pubblicato con lo pseudonimo Alice Rivaz, la cui pubblicazione venne fortemente incoraggiata dallo scrittore romando Charles-Ferdinand Ramuz. Due anni dopo, ha vinto il Premio Schiller.
Fino al pensionamento è stata divisa tra la certezza del lavoro presso la grande istituzione cosmopolita e l’urgenza della scrittura, più volte intrapresa e interrotta, in sofferto equilibrio tra l’apparente obbedienza a profondissimi legami familiari e la trasgressione di una libertà interiore e personale ostinatamente coltivata.
Un intreccio complesso, di straordinaria ricchezza, celato sotto una quotidiana normalità, che riassume i molteplici aspetti del travaglio della condizione femminile rivelandone inedite sfaccettature.
La sua opera forte e innovativa ha saputo svilupparsi e affermarsi nonostante tanti impedimenti e difficoltà.
Ha denunciato l’egoismo e l’indifferenza della società nei confronti delle persone ai margini, evocato la sua infanzia, i suoi ricordi, il suo debutto letterario e le ragioni della scelta di uno pseudonimo.
La sua scrittura segue il filo di pensieri e sentimenti e traduce la vita interiore in immagini, gesti e sensazioni corporee.
Nel 1945, ha pubblicato sulla rivista Suisse contemporaine, tre anni prima de Il Secondo Sesso di Simone de Beauvoir, Un popolo immenso e nuovo che denunciava l’assenza delle donne dalla produzione letteraria, rivolgendo un appassionato appello affinché si impugnasse la penna in prima persona per esprimere la propria diversità.
Nel 1946 è uscito Come la sabbia e, l’anno successivo, La pace degli alveari che ha aperto a una nuova visione del mondo in netto contrasto con la cultura dominante.
Dopo una lunga pausa dalla scrittura, nel 1961, è uscito il libro di racconti Sans Alcool e nel 1966 Contate i giorni, riflessione autobiografica attraverso la vita di una donna prossima alla vecchiaia, il rapporto con la madre, l’amore, la depressione, la solitudine, il bilancio dell’esistenza e il pensiero della morte.
Del 1968 è il romanzo autobiografico L’alfabeto del mattino, un viaggio nella formazione della coscienza attraverso lo sguardo di una bambina.
I Racconti di memoria e d’oblio, del 1973, svelano la faccia nascosta della normalità in un universo di persone umiliate e offese.
L’ultima grande opera narrativa, Getta il tuo pane, del 1979, è un romanzo della memoria, quasi una summa di tutte le sue tematiche, un magma di ricordi, immagini e riflessioni che trova il proprio senso nel fluire liberatorio della scrittura.
L’anno successivo ha visto la luce una raccolta di saggi e articoli, Questo nome che non è il mio, che riunisce anche gli scritti sulla condizione femminile. Infine, nel 1983, con il titolo di Tracce di vita, ha pubblicato i suoi quaderni di appunti, redatti dal 1939 al 1982.
In una lunga carriera letteraria ha trattato temi come l’incomunicabilità sentimentale, la ricerca dell’identità personale, la frustrazione per una vocazione mancata, la libertà femminile, la disparità sociale. Di sfondo, nei suoi libri, c’è sempre la grande Storia, che interferisce continuamente nelle vite quotidiane.
La relazione tra i sessi è stata per lei un tema da condividere con le altre donne, per evitare di ripetere gli errori degli uomini che restano comunque interlocutori preziosi di una tassonomia affettiva più vasta.
Lea Melandri, massima teorica del femminismo italiano ha detto di lei: “Straordinaria, ineguagliabile Alice Rivaz, riesce a nominare l’impresentabile della vita di donne e uomini in poche pagine, quando altre e altri lo fanno, senza la stessa forza e felice spudoratezza in poderosi saggi.”