Alberta Hunter, musicista statunitense che ha vissuto due carriere. Raggiunse la celebrità negli anni Venti, è stata la prima cantante a far conoscere il blues al pubblico europeo. A metà degli anni Cinquanta abbandonò le scene per farvi ritorno soltanto nel 1977. In quest’ultimo periodo di attività ribadì le sue straordinarie qualità di esecutrice, compositrice e donna di spettacolo.
Nel 1980 ha ricevuto il premio Handy quale miglior interprete di blues vivente.
Alberta Hunter nacque nella periferia di Memphis il 1° aprile del 1895. Suo padre Charles, facchino di un vagone letto su una ferrovia, aveva abbandonato la famiglia subito dopo la sua nascita. Sua madre Laura, lavorava come domestica in un bordello per mantenere le due figlie piccole e nel 1906 si risposò, ebbe un’altra bambina e dopo qualche anno si trasferì a Denver lasciandola con la nonna. Da giovanissima subì vari abusi sessuali.
A 16 anni si trasferì a Chicago, cominciò a fare le pulizie per mantenersi e intanto si intrufolava nei locali notturni sperando che qualcuno la facesse cantare. Gli inizi della sua carriera non furono semplici, si esibiva in un club frequentato da prostitute e magnaccia, gangster e reietti di ogni tipo. Furono proprio le prostitute ad aiutarla a attirare l’attenzione del pubblico, e diventando il suo punto di riferimento, la formarono alla vita.
La gente non si rende conto, le prostitute sono brave persone. Le prostitute sono le persone migliori. La gente non sa cosa renda magnaccia e prostitute quello che sono, ma sono le circostanze. Le circostanze portano a questo stile di vita. Le prostitute mi hanno insegnato ad essere una brava ragazza, mi hanno fatto essere una brava ragazza.
Il suo stile dolce e allo stesso tempo sfrontato, le valsero l’appellativo di Sweetheart di Chicago. Il suo repertorio spaziava dal blues al jazz passando per il vaudeville.
Quando riuscì a guadagnare abbastanza, portò sua madre a vivere con lei e se ne occupò fino alla fine dei suoi giorni. In quegli anni divenne popolare esibendosi al fianco della band Creole Jazz di King Oliver e successivamente con Louis Armstrong. Tutti i grandi del jazz la adoravano. Il suo album Downhearted Blues, del 1921, vendette un milione di copie. Pochi anni dopo, Bessie Smith pubblicò la sua versione del disco, ottenendo un successo planetario. Cantava, si scriveva la musica e ballava nei locali di cabaret dove si esibiva.
Nel 1919, in un locale a Cincinnati, conobbe Willard Townsend, un giovane cameriere sposato poco dopo per fermare le voci sulla sua omosessualità. L’affrettata e infelice unione durò solo pochi mesi. L’amore della sua vita, sempre tenuto nascosto al pubblico, fu Lottie Tyler, la nipote di Bert Williams, uno dei più famosi interpreti del vaudeville.
Si trasferì a New York, ma si sentiva inadeguata in un mondo che non le apparteneva. Viaggiava per il paese acclamata da tutti, era ammirata da un’intera generazione di musicisti eppure non riusciva a gestire la sua immagine, i suoi impegni e i suoi guadagni.
Indipendente, indomita e piena di talento, partì per Europa nel 1927. Fece parte di varie e importanti riviste musicali itineranti, raggiunse un grande successo a Parigi e, accompagnata dalla sua amata, continuò a esibirsi nel vecchio continente per tutti gli anni ‘30, con incursioni anche in Medio Oriente e in Russia. Nel 1935 ha interpretato un ruolo nel film inglese Radio Parade.
Fuori dall’America veniva finalmente trattata come una vera artista, ottenne rispetto e riconoscimenti. Tornò negli Stati Uniti alla fine del 1938, quando il Dipartimento di Stato avvertì dell’imminente guerra in Europa. Fu attiva nel servizio di assistenza alle truppe per esibirsi nelle zone di guerra a sostegno dell’esercito.
Dopo la seconda guerra mondiale si esibì in Inghilterra, fece tournée in Canada e suonò per lunghe residenze a Chicago. Nel 1954, dopo la morte di sua madre decise di abbandonare la musica, il mondo dopo la guerra non era più interessato alle atmosfere calde e dolorose del blues e Alberta Hunter si sentiva sempre più fuori luogo su un palcoscenico.
Doveva però riuscire a sopravvivere e fu così che, nel 1957, all’età di 62 anni, dopo aver falsificato i suoi documenti, sottraendosi dodici anni di età, prese la licenza di infermiera. Per i successivi vent’anni ha lavorato in un ospedale di New York, senza svelare mai la sua identità. Fatta eccezione soltanto per due registrazioni avvenute in sordina, con Lovie Austin nel 1961 e Jimmy Archey nel 1962.
Andò in pensione a 82 anni, sui falsi documenti ne aveva soltanto 70.
Un impresario jazz che non l’aveva mai dimenticata, la convinse a salire di nuovo sul palco, a 87 anni, in occasione di una festa in onore di un’amica comune. Riuscendo ancora a incantare con la sua voce molto più matura e sempre graffiante e intensa, ricevette subito la proposta di esibirsi in un locale di Manhattan, per provare a rilanciarlo. Doveva essere una breve collaborazione che invece durò un anno intero durante il quale raccolse file chilometriche di persone desiderose di ascoltarla, di vederla arrivare con i suoi scialli e i suoi orecchini pendenti, e di sentirla cantare con ancora più sfrontatezza, più ironia e più cattiveria, i suoi successi più piccanti, ricchi di doppi sensi e ambiguità. Il suo ritorno dopo tanto tempo le portò una fama più grande di quella che aveva mai sperimentato in gioventù. Ha registrato quattro album ben accolti, in particolare Amtrak Blues, del 1978.
Ha smesso di esibirsi solo qualche mese prima della sua morte, avvenuta il 17 ottobre 1984.
Nel 2011 è stata inserita nella Blues Hall of Fame.
Alberta Hunter ha lasciato tracce dentro tutta la musica che ha segnato la sua epoca.
Artista nera, lesbica, povera, donna riservata e timida fuori dalle scene, è andata avanti per tutta la sua vita a testa alta, contando solo sui propri mezzi, sul suo lavoro, sulla sua intelligenza e l’enorme talento.
Si è costruita e ricostruita tante volte, la fatica non l’ha mai spaventata, ha superato ostacoli di ogni sorta e ha vissuto intensamente tutte le vite che ha condotto.
#unadonnalgiorno