Confusamente intuivo che incominciava un’altra battaglia: più lunga, più difficile, più estenuante, anche se meno cruenta.
Si trattava ora non più di combattere contro la prepotenza, la crudeltà e la violenza, facili da individuare e da odiare, ma contro interessi che avrebbero cercato subdolamente di risorgere.
Contro abitudini che si sarebbero presto riaffermate, contro pregiudizi che non avrebbero voluto morire: tutte cose assai più vaghe, ingannevoli e sfuggenti.
E si trattava, inoltre, di combattere tra di noi e dentro noi stessi, non per distruggere soltanto, ma per chiarire, affermare, creare; per non abbandonarci alla comoda esaltazione di ideali per tanto tempo vagheggiati, per non accontentarci di parole e di frasi, ma rinnovarci tenendoci “vivi”.
Sapevo che saremmo stati in molti a combattere questa dura battaglia: gli amici, i compagni di ieri, sarebbero stati anche quelli di domani.
Ma sapevo anche che la lotta non sarebbe stato un unico sforzo, non avrebbe avuto più un unico, immutabile volto; ma si sarebbe frantumata in mille forme, in mille aspetti diversi.
Tutto questo mi faceva paura.
E a lungo in quella notte mi tormentai, chiedendomi se avrei saputo essere degna di questo avvenire, ricco di difficoltà e di promesse, che m’accingevo ad affrontare con trepidante umiltà.
Ada Gobetti – la partigiana educatrice, fu giornalista e traduttrice