Guardare il mondo dalla prospettiva di chi è più svantaggiato, dei proletari – oggi chiamati precari o scartati – è fondamentale e vorrei che le decisioni politiche fossero prese da questa prospettiva. Tutto cambierebbe.
Dobbiamo distinguere tra la vulnerabilità associata al nostro «essere sensibili» verso gli altri – che apprezzo come un tesoro e il cui opposto è la durezza del cuore – e poi la vulnerabilità dell’impotenza, della povertà, dello sradicamento o dell’emarginazione sociale.
Questo secondo tipo di vulnerabilità – che potremmo chiamare politica – non la celebro affatto.
Negli scritti di Marx scopro molte metafore teologiche dalla mano del filosofo della liberazione Enrique Dusel.
Per esempio è disumano lavorare senza partecipare al processo decisionale. L’essere umano è alienato quando viene trattato come fosse un oggetto, quando cioè – per motivi di efficienza lavorativa – le sue capacità di pensare e sentire vengono ignorate.
Solo attraverso la fiducia nell’altro posso essere libera, anche a livello politico. La paura e la libertà sono dunque incompatibili.
Del resto, sono libera quando difendo teorie razziste oppure sono ignorante, interessata, egoista?
L’ignoranza è un limite e la difesa dell’interesse personale o dell’egoismo nasce dalla paura di perdere il proprio.
Non è sufficiente difendere le cosiddette «libertà individuali». La struttura neoliberista è crudele e autodistruttiva.
Non si tratta di contrastare la libertà individuale e collettiva, ma di concepire la libertà – che è necessariamente personale – in un quadro politico e sociale solidale, di effettiva corresponsabilità.
Con una democrazia economica, per esempio.
Questa «chiesa patriarcale» è l’istituzione che ha saputo conservare per secoli, onorare e dare l’esempio al mondo delle vite, delle opere e delle iniziative sociali delle donne del passato: da Maria Maddalena, Tecla, Blandina a Hilda di Whitby, Chiara di Assisi, Caterina da Siena, Giovanna D’Arco e altre.
Vissero più di cinquecento anni fa, alcune più di mille anni fa. La chiesa non le ha dimenticate.
Tra loro ci sono schiave e regine, dottoresse e analfabete, poete e guerriere. Teresa d’Avila, Caterina da Siena, Teresa di Lisieux e Ildegarda di Bingen sono riconosciute come dottori della chiesa, ciò significa che i loro scritti sono considerati un riferimento e che il loro studio e promozione sono diffusi.
Ho nominato alcune delle più antiche per segnalare il contrasto con ciò che accade nelle discipline umanistiche e, peggio ancora, nella scienza.
I contributi di molte scienziate sono stati attribuiti agli uomini, i loro nomi sono sconosciuti.
Quando ho studiato medicina, mi hanno parlato del modello di Watson e Crick (riguardo la struttura elicoidale del Dna).
Nessuno mi ha parlato di Rosalind Franklin, pioniera che ha aperto la linea di ricerca e ha dato i contributi più decisivi per rendere possibile la determinazione della struttura del Dna. Franklin è morta di cancro alle ovaie a trentotto anni nel 1958.
Mi sono laureata in medicina nel 1990. In soli cinquant’anni, la scienza l’aveva completamente dimenticata. Non si parla del suo lavoro, ancora meno della sua vita o dei suoi scritti intimi.
La chiesa, d’altro canto, mi presenta quasi quotidianamente una donna che considera mirabile di cui ha conservato un ricordo integrale; cosa ha fatto, provato e scritto, lettere, biografia di lavoro, chi ha pensato a lei e chi la conosceva.
Credo che il successo del femminismo attraversi la vera democrazia che non abbiamo ora e il superamento del capitalismo.
Per raggiungere questo obiettivo, è necessario fermare la deriva autoritaria e tecnocratica che ci invade.
Creare spazi per le decisioni popolari, decentralizzare il potere.
Ogni volta che ciò accade – per esempio in gruppi auto-organizzati – ho osservato che le donne esercitano una leadership naturale, sia da sole che in modo condiviso con gli uomini.
Ogni persona è un «pezzo unico», ciò che il femminismo ha sempre sostenuto non è un modello di una donna rispetto a un’altra bensì lo spazio necessario per ogni donna di vivere «senza un modello», in modo che possa autodeterminarsi liberamente, senza imposizioni sociali, senza sanzioni, senza stereotipi.
Sono a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso e vorrei che potesse essere non solo civile ma anche benedetto dalla Chiesa come sacramento.
E sono a favore della depenalizzazione dell’aborto perché lo considero un male minore rispetto alla sua criminalizzazione.
Anche nel clero ci sono donne che pensano e agiscono di conseguenza.
Teresa Forcades, monaca benedettina, teologa e femminista, indipendentista catalana, nel messaggio evangelico riconosce il dettato di una militanza incarnata e generativa contro le politiche neoliberiste. Gli ultimi della terra, gli indifesi, sono gli inermi ed è al loro cospetto che si trova Dio.