Noi architetti abbiamo il dannato e sacrosanto dovere e obbligo di romperci il capo su che cosa si debba fare nell’edilizia abitativa per facilitare la vita alle donne e agli uomini. Fin dall’inizio volli occuparmi sempre e solo di edilizia abitativa, con tutto quello che ci vuole: istituzioni per l’infanzia, scuole, biblioteche, ambulatori, ciò che appunto si chiama edilizia sociale.
Margarete Schütte-Lihotzky (1897-2000) è stata un’architetta austriaca, prima donna nel suo paese e una delle prime in Europa. Testimone e protagonista dell’architettura del nostro secolo. Femminista, comunista, antifascista.
Ha dedicato tutta la sua vita e la sua opera al miglioramento delle condizioni di vita delle classi disagiate e delle categorie deboli, in particolare donne e bambini.
La sua ricerca si allargò allo studio dell’ambiente domestico, in particolare della cucina che si impegnò a riorganizzare secondo dimensioni e arredi più razionali. Da questi studi nacque la cucina di Francoforte (1926-27), prima cucina “moderna” che ha largamente influenzato tutta la successiva produzione di questo ambiente. Negli stessi anni, l’impegno per il miglioramento della condizione femminile fu alla base degli interessanti progetti dell’abitazione per donne che lavorano e vivono sole, mentre gli studi sugli spazi per i bambini la portarono a progettare scuole, asili e parchi gioco secondo criteri che verranno a lungo riproposti.
Accanto alla professione c’è stata poi la vita politica, la resistenza antifascista, la condanna a morte tramutata in carcere a vita, sino alla liberazione nel ’45, non ci fu mai una distinzione tra impegno professionale, politico e civile poiché il valore della sua opera sembra trovarsi nell’indivisibilità degli sforzi, nell’inscindibilità di teorie e prassi, di pensieri e azioni.
Nata nell’eclettica Vienna di fine Ottocento da una famiglia della media borghesia. Terminati gli studi di base e dopo lezioni private di disegno e un breve corso di grafica, decise, contro il parere della famiglia, di diventare architetta. Frequentò la Kunstgewerbeschule, la più rinomata scuola di arti applicate di Vienna, dove insegnavano artisti e architetti famosi e innovatori. L’unica scuola possibile poiché allora le ragazze non erano ammesse nelle accademie e nei politecnici.
Fin dagli esordi, consapevole del grave disagio anche abitativo delle classi lavoratrici, acuito dalla crisi economica e politica del paese alla fine della prima guerra mondiale, manifestò il desiderio di occuparsi solo di edilizia sociale. Già da studentessa aveva effettuato personalmente sopralluoghi nelle aree più periferiche della città e nel 1917 aveva vinto il concorso per il progetto di una “Cucina abitabile nell’estrema periferia”. Da questo ambiente domestico prese il via il suo contributo al rinnovamento della tipologia architettonica dell’abitazione, del quartiere, della città. Applicando i criteri di ottimizzazione del lavoro in fabbrica, analizzava l’attività delle casalinghe all’interno delle grandi cucine tradizionali, rilevandone le disfunzioni e lo spreco di tempo e di energie.
Progettava dall’interno verso l’esterno, tentando di dare risposta alle esigenze pregresse e alle nuove aspettative delle donne che sempre più numerose si affacciavano al mondo del lavoro extradomestico.
Con questo consapevole obiettivo etico la giovane architetta lavorò per le cooperative d’iniziativa pubblica che realizzavano case-capanna per la prima emergenza, case a schiera per i coloni inurbati, case pluripiano per gli operai.
Nel 1926, si trasferì a Francoforte, accettando l’invito dell’amministrazione pubblica a entrare nell’organico dell’ufficio tecnico, diretto dall’architetto e urbanista Ernst May.
L’Hochbauamt della città sul Meno fu, come il Bauhaus di Weimar e Dessau, rispondeva alle esigenze poste dall’industrializzazione e dal conseguente inurbamento con criteri funzionalisti e razionalisti. La minimizzazione delle superfici e dei volumi era la soluzione individuata per ovviare alle carenze abitative in tempi rapidi e con costi sostenibili. Ciò comportava una concezione dell’abitare del tutto nuova sia per gli utenti che per i progettisti.
Lavorando a questo Margarete Schútte-Lihotzky portò a compimento il progetto della nuova cucina, razionale e standardizzata. Tra il ‘26 e il ’28 ne presentò i prototipi alle fiere di Francoforte, Essen e Monaco. La Cucina di Francoforte è una pietra miliare nell’architettura d’interni.
Costruita secondo principi ergonomici consentiva lo svolgimento delle attività domestiche nella sequenza più corretta, in modo da ridurre lo spreco di tempo e di spazio e risparmiare alle donne inutili fatiche. Di questo modello, si realizzarono diecimila esemplari, preinstallati nelle abitazioni minime dei nuovi quartieri.
Come unica esponente femminile dell’ufficio all’edilizia, le venne richiesto dalle donne impegnate in politica e dalle associazioni femminili di occuparsi anche della questione molto pressante dell’abitazione per le lavoratrici sole.
Una nuova categoria di soggetti urbani – vedove con figli, giovani appena trasferite in città, anziane – , che incontrava difficoltà economiche nell’accesso all’alloggio e nello stesso tempo esprime esigenze particolari. Puntando alla fattibilità economica del progetto, individuò diversi tipi di piccoli alloggi in funzione delle capacità economiche dei soggetti. Riuscì a ottimizzare l’uso degli spazi, senza trascurare gli aspetti estetici e psicologici che rendono gradevole e rigenerante il soggiornare nella propria casa. Lavanderie centralizzate, scuole per l’apprendimento della nuova economia domestica, asili e strutture per l’infanzia sono elementi del suo progetto per una città a misura delle cittadine.
A Francoforte sposò il collega Wilhelm Schütte.
Con il mutare del clima politico e l’affermazione del nazismo, si trasferì col marito in Unione Sovietica, come parte del team di tecnici invitati per la pianificazione delle città di nuova fondazione. Qui divenne responsabile del settore delle strutture per l’infanzia. Disegnò e realizza asili, scuole, aree gioco, arredi, secondo i criteri pedagogici più avanzati e sempre finalizzati alla salute e al benessere dei bambini e delle madri.
Nel 1937, il precipitare della situazione politica internazionale costrinse i coniugi Schütte a lasciare il paese. Iniziò per loro un difficile periodo di migrazione attraverso l’Europa. In Turchia l’architetta ricevette incarichi dal Ministero dell’istruzione per la progettazione di edifici scolastici, che realizzò tra il 1938 e il 1940.
L’impegno etico è molto sentito e spesso manifestato «l’architetto è responsabile del progresso del mondo anche al di fuori della sua professione» la portò a condividere le azioni della resistenza antinazista.
Durante una missione in patria, a Vienna, venne arrestata dalla Gestapo. Sottoposta a processo, in un primo tempo viene condannata a morte e poi alla detenzione. Rinchiusa dal 1940 nel carcere di Aichach in Baviera, sarà liberata solo nel 1945 dalle truppe americane.
Tornata a Vienna nel 1947 ricevette dal nuovo governo soltanto pochi incarichi pubblici, tra cui alcuni asili nido e due edifici residenziali. Come presidente dell’Unione delle donne democratiche austriache tenne conferenze in tutto il mondo.
Soltanto a partire dagli anni Ottanta il governo austriaco le attribuì importanti onorificenze, tra cui la croce d’oro, in riconoscimento dell’instancabile e coraggiosa attività professionale e civile.
Il MAK di Vienna, nel 1993, le ha dedicato un’importante mostra antologica pubblicando il testo che ne raccoglie e documenta l’opera e la vita.
È morta a Vienna il 18 gennaio del 2000.
Da allora sono sempre più numerose le istituzioni culturali che le dedicano letture, conferenze, riedizioni, mostre personali e inseriscono il suo lavoro nelle esposizioni a tema su quegli anni Venti, nei quali è nata l’architettura moderna.
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