Camille Claudel è stata una scultrice, un genio artistico che, su richiesta della famiglia (e contro la sua volontà) è stata internata e sequestrata per 30 anni. Un grande talento, artista originale che scolpì il suo amore per colui che le aveva insegnato tutto, Auguste Rodin.
Studiava a Parigi in un tempo in cui la scuola delle Belle Arti era aperta solo agli uomini. Prese lezioni negli studi d’artista che accettavano le donne.
Una relazione passionale e artistica, lavoravano insieme, scolpivano insieme (il museo Rodin e il museo d’Orsay hanno belle opere di questo periodo). In questo vortice di sentimenti, Camille Claudel produsse dei capolavori assoluti: Sakountala, La Valse, il busto di Rodin, Clotho e l’Age Mûr, il suo capolavoro assoluto. Una giovane donna implorante che cerca di trattenere un uomo maturo che viene portato via da un’altra donna.
Il confronto con la scultura di Rodin è sempre presente nelle cronache dell’epoca e possiamo immaginare la fatica di Camille Claudel per trovare posto nel mondo maschilista dell’arte.
Il rapporto fra i due artisti fu tormentato, venne raccontato dallo scultore in decine e decine di disegni, ora conservati al Museo Rodin di Parigi, anche nei risvolti erotici, come fece Camille nelle sue sculture, dando vita ad un kamasutra artistico ispirato al famoso poema indiano.
Rodin la sostenne sempre; anche quando venne internata, non le fece mancare un aiuto economico (in forma anonima) e dedicò una sala alle sue opere nella sua casa/museo.
Per Camille la scultura è stata tutto: ne sono piene le lettere e i ricordi di chi l’ha conosciuta.
Tanto è stato scritto sui suoi deliri. Forse è stato più facile prendersela con quell’uomo a cui aveva dato tanto, piuttosto che ammettere che era la sua famiglia a farla rinchiudere. Madre e fratello le impedirono per anni di incontrare e scrivere agli amici.
Recentemente, le sue cartelle cliniche sono state rese pubbliche: sono piuttosto monotone sullo stato mentale; tuttavia i medici che si sono avvicendati nella direzione del manicomio sono concordi nell’affermare che non era una paziente pericolosa per sé e per gli altri e che tornare in famiglia (come lei stessa chiedeva) avrebbe potuto aiutarla. La madre si rifiuterà sempre di riprenderla in casa, né Paul farà mai qualcosa in tal senso.
In una lettera del 1915 scrive: “Mio caro Paul, ho scritto molte volte alla mamma, a Parigi, a Villeneuve, senza riuscire a ottenere una parola di risposta. E anche tu, che sei venuto a trovarmi alla fine di maggio e ti avevo fatto promettere di occuparti di me e di non lasciarmi in un tale abbandono. Com’è possibile che da allora tu non mi abbia scritto una sola volta e non sia più tornato a trovarmi? Credi che mi diverta a passare così i mesi, gli anni, senza nessuna notizia, senza nessuna speranza! Da dove viene tale ferocia? Come fate a voltarvi dall’altra parte? Vorrei proprio saperlo.”
#unadonnalgiorno