June Jordan poeta, insegnante, scrittrice e attivista americana di origini giamaicane. Le sue parole hanno dato potere e voce alle persone discriminate e il suo impegno sociale e politico ha contribuito al cambiamento.
Nei suoi scritti approfondiva i problemi legati a genere, etnia, immigrazione e rappresentazione.
Nata ad Harlem nel 1936 era figlia di genitori immigrati. A 7 anni già scriveva le sue prime poesie.
Nel suo libro Soldier: A poet’s childhood racconta della sua adolescenza e del suo rapporto difficile col padre. In For My American Family, narra i vari conflitti nel crescere come figlia di genitori neri immigrati.
Durante il periodo scolastico, era stata immersa in un ambiente bianco, frequentando scuole prevalentemente bianche. È riuscita tuttavia a costruire e sviluppare la sua identità di scrittrice nera e americana.
Al Barnard College di New York, conobbe uno studente bianco, Michael Meyer, che divenne suo marito. Lasciato il college senza laurearsi, seguì il marito a Chicago. Ebbero un figlio, che June Jordan crebbe da sola, perché divorziò dopo qualche anno.
In Civil Wars scrive della sua esperienza al Barnard College e di come non le sia mai stato presentato un singolo autore, poeta o storico nero, e di come non abbia mai studiato una donna poeta o pensatrice.
Quello che aveva imparato all’università non le era servito per alleviare la sofferenza e l’amarezza legate alle sue origini e niente le aveva mostrato come poter provare anche solo a modificare la realtà economica e politica della condizione delle persone nere nell’America bianca.
Forse a causa del mondo basato sul maschio bianco di cui era costituita la formazione scolastica che lasciò il college senza finirlo.
Cominciò a emergere come poeta e attivista politica solo quando le donne nere hanno iniziato a essere ascoltate. È stata attiva nei diritti civili, nel femminismo, nel pacifismo e nei movimenti per i diritti di gay e lesbiche.
June Jordan, nel 1967, ha promosso il movimento per la “giustizia ambientale urbana”, ha collaborato con un noto “inventore di spazi” (Buckminster Fuller) per un progetto a Harlem. Ha messo in discussione la rigidità cartesiana della griglia newyorkese la cui monotonia limitava il piacere della prospettiva e della sorpresa. L’inesorabilità e l’inevitabilità del modello della griglia avrebbero dovuto lasciare spazio a una teoria che promuovesse spazi con una predilezione per l’esperienza percettiva, che accogliessero la libertà di movimento, uno spazio ricettivo aperto ma nello stesso tempo anche “rifugio”.
Ha insegnato a Yale, al Sarah Lawrence College e alla State University di New York, dove ha diretto il Centro di Poesia.
Nel 1988 ottenne la cattedra di African-American Studies alla Berkeley, dove ha fondato il programma Poetry for the people che proponeva nuovi modelli di coinvolgimento dei cittadini nella pianificazione con l’obiettivo di ispirare e dare la possibilità di usare la poesia come mezzo esplorativo a uso delle comunità.
Si è sempre identificata come bisessuale, senza mai negarlo, anche quando questo portava a stigmatizzazione.
È morta di cancro al seno all’età di 65 anni, nel 2002.
Poco prima di morire, è riuscita a completare il saggio politico Some of us did not die, dove descrive come il matrimonio precoce con uno studente bianco l’abbia inserita nell’agitazione razziale dell’America degli anni ’50 e segnato il suo percorso verso l’attivismo sociale.
#unadonnalgiorno