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Teresa Buonocore ammazzata perché aveva denunciato lo stupratore di sua figlia

Teresa Buonocore ammazzata per aver denunciato lo stupratore di sua figlia

La storia di Teresa Buonocore, ammazzata per aver denunciato il carnefice di sua figlia, ha bisogno di essere raccontata perché non vada dimenticata. 

Teresa Buonocore era nata a Portici, popolosissima cittadina in provincia di Napoli, nel 1959. Aveva avuto due figli dal suo primo matrimonio e due figlie dalla seconda unione, finita pochi anni dopo la nascita della seconda bambina.

Lavorava sodo per portare avanti la sua famiglia da sola, faceva la segretaria nello studio di un avvocato penalista di Napoli.

La figlia maggiore aveva una compagna di classe che abitava accanto a loro, spesso giocavano insieme a casa sua, c’era anche un’altra bambina, che era a scuola con loro.

Le bambine passavano lunghi pomeriggi insieme, Teresa non poteva certo immaginare che Enrico Perillo, geometra conosciuto, sposato con una dottoressa del Policlinico e padre della compagna di classe, era un ossessionato di pedopornografia con un archivio da horror depositato sul suo pc, che passava molto tempo in casa da solo con le bambine, che frequentava ragazzi molto lontani dalla ‘Napoli Bene’ con i quali condivideva la passione per le armi.

L’uomo ha, per lungo tempo, abusato sessualmente della figlia di Teresa e dell’altra bambina, le intimava al silenzio minacciando di uccidere Teresa se avessero parlato.

Certi orrori non si possono nascondere a lungo e la verità venne fuori.

Scattarono le denunce e Teresa Buonocore si costituì parte civile al processo, testimoniando contro il mostro. L’uomo venne condannato a 16 anni di reclusione da scontare agli arresti domiciliari, venne poi portato in carcere a Modena in seguito a un’evasione.

Da quel momento, non ci fu più pace. La donna e le sue bambine subirono una serie di intimidazioni da parte di Perillo e della sua famiglia: minacce varie e una vera escalation di violenze, venne anche bruciata la porta della loro casa. Ma lei non si arrendeva, denunciava e continuava per la sua strada.

La mattina del 20 settembre 2010, a Napoli, mentre si recava al lavoro in macchina, venne affiancata da Alberto Amendola e Giuseppe Avolio entrambi rei confessi, che a bordo di uno scooter, esplosero quattro colpi di pistola calibro 9 da distanza ravvicinata, uccidendo Teresa Buonocore. Un’esecuzione in stile camorristico, la promessa fatta dall’orco alla bambina, era stata mantenuta: le aveva ucciso la mamma.

I killer indicarono, come mandante dell’agguato, Enrico Perillo. Nel corso delle indagini fu scoperto un arsenale in un garage di proprietà di Perillo, che comprendeva cinque pistole, due pistole mitragliatrici, 2.632 cartucce di vario calibro, molte a palla blindata, perforanti e a pallettoni, due giubbotti antiproiettile e diciotto caricatori. I due killer vennero condannati a 21 e 18 anni di reclusione. Al mandante dell’omicidio, fu dato l’ergastolo.

A Teresa Buonocore è stata assegnata la medaglia d’oro al merito civile alla memoria nel 2017.

Il giudice Carlo Spagna, presidente della Corte d’Assise che guidò il processo di primo grado concluso con la condanna all’ergastolo di Enrico Perillo, ne ha scritto un libro “Teresa B:”, dedicato alla figlia di Teresa, a cui saranno devoluti i proventi delle vendite.

Credo che le Istituzioni abbiano un debito nei confronti di Teresa e di questa ragazza. Un debito non solo morale o giudiziario, ma anche economico” ha sostenuto.

I familiari della vittima, nonostante tutto ciò che hanno dovuto subire, non hanno ricevuto un euro di risarcimento. Né per gli abusi sessuali, né per l’omicidio poiché l’imputato risulta nullatenente, è riuscito a spogliarsi di tutti i beni firmando una delega a un notaio quando era in carcere per le violenze. Di questo parlava lo stesso Perillo in un’intercettazione che fu letta anche durante il processo, ma la cui portata, evidentemente, non venne immediatamente compresa.

E non solo.

Questo signore, a detta del giudice, ha goduto di una libertà, quando era già stato coinvolto nella vicenda degli abusi, che non si giustifica né si poteva giustificare all’epoca, visto che non erano ancora in vigore le norme cosiddette “svuota carceri“. Non credo ci siano state facilitazioni o complicità con l’imputato, ma per insipienza o trascuratezza. Non possiamo individuare un singolo soggetto né un ufficio in particolare. Tutto l’apparato, con alcune eccezioni, ha dimostrato scollamento e una mancanza di coordinamento.

Un delitto orrendo, conseguenza spietata della  scelta di Teresa e sua figlia, che hanno denunciato e trovato la forza per resistere anche al tentativo di corruzione per indurle a ritrattare le accuse.

La giovane donna si è dimostrata persino più forte e determinata di Teresa, perché ha tenuto duro anche dopo l’omicidio della madre. Le bambine sono state cresciute dalla sorella di Teresa, a Salerno. Oggi sono due giovani donne impegnate nella lotta contro la violenza di genere per portare avanti il messaggio della loro mamma.

Ecco perché la storia di Teresa Buonocore non deve essere dimenticata.

#unadonnalgiorno

 

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