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Gisèle Pelicot

Gisèle Pelicot
La honte doit changer de camp

Gisèle Pelicot, nominata tra le 100 donne più influenti e d’ispirazione del 2024 dalla BBC e tra le 25 più importanti secondo il Financial Times, è salita alle cronache mondiali per essere stata la protagonista del famoso caso denominato lo stupro di massa di Mazan che ha visto un maxi processo shock a 51 uomini, culminato il 19 dicembre 2024 con la loro condanna.

Dal settembre 2024 il suo volto e la sua storia sono rimbalzati alle cronache mondiali per la mostruosa vicenda che è stata costretta a vivere.

Per dieci anni è stata drogata e violentata di nascosto dal marito, Dominique Pelicot, che invitava uomini contattati su Internet a abusarla mentre era priva di sensi.

Individui tra i 26 e i 70 anni, rappresentativi di tutti gli strati della società, dal giornalista al pompiere, dal falegname al militare. Una realtà così variegata che i giornali francesi hanno usato l’espressione di Monsieur tout le monde, persone qualunque, padri di famiglia, colleghi di lavoro, vicini di casa.

A testa alta e senza vergogna, ha voluto che il processo si svolgesse a porte aperte, nonostante la legge francese le consentisse l’anonimato e il suo caso è diventato un potente simbolo della lotta alla violenza maschile sulle donne.

Ha ribaltato la narrazione che vuole che a provare vergogna debbano essere le persone abusate.

Nata il 7 dicembre 1952 a Villingen, nella Germania sud-occidentale, figlia di un soldato francese che vi si era trasferito per lavoro, è tornata in Francia quando aveva cinque anni e ha perso la madre quando ne aveva nove.

Nell’aprile del 1973 ha sposato Dominique Pelicot con cui si era stabilita nella periferia di Parigi, a Villiers-sur-Marne. Hanno avuto due figli e una figlia, David, Caroline e Florian. Credeva di aver condotto una vita normale, con gli alti e bassi di qualsiasi coppia.

Ha lavorato nell’amministrazione per la compagnia elettrica statale, il marito ha svolto diversi lavori e si è imbarcato in varie imprese fallimentari, tanto che, nel 2001, si erano separati per motivi finanziari per poi risposarsi nel 2007. Dopo la pensione, nel 2013, si sono trasferiti a Mazan, nel sud-est della Francia.

È stata una madre, una nonna, una signora medio borghese di periferia fino a quando, nel 2020 è stata convocata in caserma per un reato del coniuge di cui ignorava l’esistenza. Lì ha scoperto di essere stata vittima di ripetute violenze sessuali perpetuate dal luglio 2011 all’ottobre 2020 per opera di molti uomini reclutati dal marito, che li aveva contattati tramite un sito internet attraverso una chat dal titolo a sua insaputa e invitati a fare sesso con lei che versava in stato di incoscienza.

L’ex marito, già segnalato all’autorità per un precedente episodio di molestie, era stato fermato dalla polizia mentre registrava con una telecamera nascosta le parti intime di due giovani in un supermercato. Durante una perquisizione, nei suoi hard disk sono state trovate 3800 foto e video girati durante gli stupri della moglie che hanno consentito di  ricostruirne 91 compiuti da 72 uomini diversi di cui solo 50 sono stati identificati. 

Le sue certezze sono improvvisamente crollate. Lo ha denunciato e chiesto subito il divorzio. Non lo ha più rivisto fino al giorno della prima udienza in tribunale, il 2 settembre 2024.

Durante il processo è emerso che l’uomo aveva l’abitudine di portare alla moglie il suo gelato preferito prima di andare a dormire, un gesto che lei reputava di grande gentilezza, ma in quel gelato lui scioglieva potenti dosi di sonnifero. Gli uomini, su istruzione dell’orco, parcheggiavano distante dalla loro casa e entravano da un ingresso posteriore, per abusare di lei mentre era incosciente. Lei non ricordava nulla, da anni, però, soffriva di amnesie, forti giramenti di testa e di infezioni intime inspiegabili. Aveva addirittura pensato che potesse essere malata di Alzheimer o avere un tumore al cervello.

Ha dovuto rispondere alle domande dei giudici e affrontare le accuse degli avvocati della difesa, molti dei quali hanno insinuato che lei non fosse stordita come affermava, ma fosse cosciente e addirittura “provocasse” gli uomini convocati dal marito, che filmava le violenze. Ma questi, ha più volte confermato che tutti gli uomini fossero stati informati del suo stato d’incoscienza.

Successivamente, anche la figliaCaroline Darian (che ha chiesto di non essere più chiamata col cognome del padre), si è riconosciuta in alcune immagini mostrate durante il processo. Da quando la vicenda che ha coinvolto la madre è diventata di dominio pubblico, si è spesa in prima persona per chiedere una legge contro la sedazione chimica e la sedazione alcolica che le pene vengano inasprite e che il governo faccia di più sul fronte della prevenzione.

Fra i 50 imputati di violenza sessuale, solo una quindicina ha espresso frasi di scuse nei confronti della donna. 

Il 19 dicembre 2024 il processo si è concluso con la condanna a 20 anni, il massimo della pena, per Dominique Pelicot, dichiarato colpevole degli stupri aggravati contro l’ex moglie insieme ai 50 co-imputati, gran parte dei quali sono stati ritenuti colpevoli di stupro aggravato in riunione e somministrazione di droghe e condannati a pene che vanno dagli 8 ai 15 anni.

Sola, al termine del dibattito, questa donna diventata un simbolo di dignità e coraggio, si è alzata per uscire dall’aula ricevendo il prolungato applauso del pubblico presente e della grande folla riunita per strada.

Gisele Pelicot è diventata un’icona femminista, il suo volto è rimbalzato sui social in tutto il mondo, la sua frase ha ispirato podcast e proteste.

Non ha voluto girarsi dall’altra parte e tacere per “vergogna”, ma denunciare, per tutelare chi verrà dopo e le donne che non ne hanno la forza. Ha chiesto pubblicità totale, fino alla fine, copertura mediatica integrale anche dei video in cui veniva violentata. Posizione condivisa dai tre figli che sono stati parte civile.

Alla fine dello spossante processo, ha dichiarato: “È stata una prova molto dura. Penso ai miei tre figli, ai miei nipotini perché loro sono il futuro ed è per loro che ho condotto questa lotta. Ho fiducia nella nostra capacità di cogliere collettivamente un futuro in cui ognuno, donne e uomini, possano vivere in armonia, nel mutuo rispetto e nella comprensione. Penso alle vittime di stupro, non riconosciute, le cui storie restano spesso nell’ombra. Voglio che sappiate che condividiamo la stessa lotta.

Il volto fiero di questa donna che ha segnato un punto di non ritorno nel trattare la violenza contro le donne rimbalza sui giornali di tutto il mondo ed è di grande ispirazione per tante che, grazie al suo esempio troveranno il coraggio di denunciare.

 

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