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Anita Garibaldi l’eroina dei due mondi

Anita Garibaldi, eroina dei due mondi

Ana Maria Ribeiro de Silvia, meglio conosciuta come Anita, rivoluzionaria brasiliana moglie di Garibaldi, icona del Risorgimento.

Veniva anche chiamata l’eroina dei due mondi.

Nata in Brasile nel 1821 da una famiglia molto povera, libera, con grande senso di indipendenza, amante della natura, cavalcava sin da bambina. Faceva il bagno nuda nel mare, senza curarsi della reazione scandalizzata degli abitanti della località e della stessa madre, una volta, mentre raccoglieva granchi in riva al mare, fu toccata da un giovane ubriaco, reagì sferrandogli un calcio e poi denunciandolo alla gendarmeria.

Uno zio la iniziò ai discorsi politici e agli ideali di giustizia sociale, in un Brasile governato dal pugno duro dell’impero. Il suo atteggiamento suscitava numerose maldicenze, e la madre, vedova, sperando di ricondurla alla ragione, le impose di sposarsi a quattordici anni.
Il 22 luglio 1839, i rivoluzionari conquistarono la sua città, gran parte degli abitanti di Laguna si recò in chiesa per intonare un Te Deum di ringraziamento al Signore. Fu in questa occasione che vide per la prima volta Giuseppe Garibaldi, di cui si innamorò subito.
Da quel momento, lasciato il marito, Anita sarà la compagna di Garibaldi, la madre dei suoi figli e la compagna di tutte le sue battaglie.
È ancora oggi molto difficile, raccontando la sua vita, districarsi tra storia e leggenda.
Sta di fatto che Anita condivise gli ideali politici del suo Josè, come chiamava Garibaldi, e lo seguì ovunque, nei pericoli e nelle battaglie.
Combatteva con gli uomini, veniva spesso assegnata alla difesa delle munizioni, sia negli attacchi navali che nelle battaglie terrestri.
La loro storia d’amore è la storia delle battaglie risorgimentali.
Il 16 settembre 1840 nacque il loro primo figlio Domenico, che verrà sempre chiamato Menotti in onore del patriota martire. Dodici giorni dopo il parto, Anita sfuggì a una cattura dei soldati imperiali, scappando da una finestra con il neonato in braccio, inforcò il cavallo e scappò nel bosco. La sua abilità di cavallerizza e la sua vitalità la salvarono. Rimase nascosta nel bosco per quattro giorni, senza viveri e con il neonato al petto, finché Garibaldi e i suoi la trovarono. È a questo episodio che si ispirò lo scultore Rutelli per il monumento equestre dedicato a Anita sul Gianicolo a Roma nel 1932.
Nel 1841, essendo divenuta ormai insostenibile la situazione militare della rivoluzione brasiliana, la coppia prese congedo da quella guerra e si trasferì a Montevideo, in Uruguay, dove rimasero sette anni, durante i quali Garibaldi mantenne la famiglia impartendo lezioni di francese e di matematica. Il 26 marzo 1842 i due si sposarono nella parrocchia di San Francesco d’Assisi. Negli anni successivi nacquero Rosita (1843), morta a 2 anni, Teresita (1845) e Ricciotti (1847).
Con la notizia delle rivoluzioni del 1848, Garibaldi volle tornare in Italia.
Quando, nel 1849, fu proclamata la Repubblica Romana, con a capo il triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi, Garibaldi venne proposto come deputato. Anita raggiunse il marito a Roma.
Era incinta di quattro mesi e la Repubblica Romana era già ai suoi ultimi giorni, perché Pio IX aveva chiesto aiuto agli eserciti spagnolo, francese e borbonico.
Da un racconto di Alessandro Dumas, generale garibaldino, si apprende che Anita apparve davanti a Garibaldi che, fra lo stupore, il dispiacere e la gioia di vederla in una circostanza così drammatica, la presentò con queste parole: «Questa è Anita, ora avremo un soldato in più!».
Quando la Repubblica di Mazzini cadde, Garibaldi e le sue camice rosse fuggirono da Roma, Anita si tagliò i lunghi capelli, si vestì da uomo e partì a cavallo a fianco di Josè. I soldati di cinque eserciti li seguirono, Garibaldi intendeva raggiungere Venezia e sostenere la repubblica di Mazzini. Attraversò così l’Appennino con le sue truppe, trovando sempre sostegno nelle popolazioni. Molti avrebbero anche ospitato e curato Anita, che nel frattempo aveva contratto la malaria, cercando di convincerla a fermarsi, ma lei volle proseguire. Molti sono i racconti, veri e romanzati, degli incontri che hanno avuto durante la loro fuga. Si dice che in Romagna, non potendo più indossare abiti maschili per il suo stato di gravidanza, le venne offerto un abito chiamato “barnus”, dal termine arabo “burnus”, che i contadini – uomini e donne – usavano nei lavori di campagna.
Garibaldi, Anita e 160 volontari raggiunsero Cesenatico, dove si imbarcarono, ma nei pressi di Goro iniziano dei cannoneggiamenti e furono costretti a sbarcare a Magnavacca, oggi Porto Garibaldi.
La fuga proseguì a piedi o con mezzi di fortuna, aiutati da tante persone che incontravano per la strada. Raggiunsero la fattoria dei conti Guiccioli, presso Mandriole. Anita, ormai priva di conoscenza per la malattia e gli stenti, morì poco dopo.
Giuseppe Garibaldi riprese subito la via della fuga.
Il corpo di Anita venne sepolto frettolosamente in un campo, dove, il 10 agosto 1849, fu scoperto per caso da un gruppo di ragazzini e tumulato nel cimitero di Mandriole.
Dopo dieci anni, al termine della II guerra di indipendenza, dopo il plebiscito per le annessioni delle terre di Romagna al Regno d’Italia, Garibaldi, coi figli Menotti e Teresita, andò a Mandriole per ritirare le spoglie di Anita e trasferirle al cimitero di Nizza. Nel 1931 il governo italiano chiese di spostare i resti a Roma, al Gianicolo. Il monumento della sepoltura la rappresenta a cavallo col figlioletto al collo in atteggiamento di galoppo.
La vita di Anita fu brevissima, morì a soli 28 anni, e in poco tempo fece cose incredibili. Visse una vita di rinunce e delusioni, a rincorrere un uomo che pensava soltanto alle sue battaglie. Ma scelse di stare al suo fianco con una determinazione e un coraggio che, ancora oggi, la rendono unica.

#unadonnalgiorno

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