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Kate Millett e la sorellanza

Kate Millet

Quando un gruppo governa un altro, il rapporto tra i due è politico. Quando un tale accordo viene portato avanti per un lungo periodo di tempo, sviluppa un’ideologia (feudalesimo, razzismo, ecc.). Tutte le civilizzazioni storiche sono state dei patriarcati: l’ideologia su cui si basano è la supremazia maschile. L’oppressione sessuale è dominio politico. Un nuovo modo di leggere può generare un miglior modo di vivere.

Scrittrice, insegnante, artista visiva e attivista femminista, Kate Millett è stata una delle americane più influenti del ventesimo secolo. 

È l’autrice del libro La politica del sesso, del 1970, testo fondante del femminismo della seconda ondata.

È stata tra le prime scrittrici a teorizzare il patriarcato e concettualizzare l’oppressione in termini che richiedevano una rivoluzione del ruolo sessuale con cambiamenti radicali negli stili di vita personali e familiari.

La sua opera ha mostrato il modo in cui azione politica ed espressione culturale si compenetrano.

Per prima, ha usato il termine sisterhood (sorellanza) divenuto concetto fondamentale del femminismo contemporaneo che sintetizza l’unione, l’intimo legame delle donne al di là di ogni differenza sociale, religiosa o etnica. Sottintende la complicità di intenti, l’accordo morale, sociale e affettivo tra donne che, riconoscendo e condividendo le stesse esperienze e il vissuto comune, sono unite in un percorso di autostima e emancipazione.

Nata il 14 settembre 1934 a Saint Paul, Minnesota, suo padre era stato un uomo violento col vizio dell’alcol che aveva lasciato la famiglia quando lei aveva 14 anni.

Laureata in letteratura all’Università del Minnesota nel 1956, due anni dopo è stata la prima americana a conseguire una laurea con lode a Oxford.

Nel 1961 si è trasferita in Giappone dove ha studiato scultura e tenuto la sua prima mostra personale alla Minami Gallery di Tokyo, intanto insegnava inglese alla Waseda University. Due anni dopo è tornata a New York e iniziato a insegnare al Barnard College, continuando a dedicarsi all’arte, tra il 1963 e il 2009, ha tenuto diverse personali in giro per il mondo sperimentando tra installazioni, scultura, disegno, serigrafia e fotografia.

Nel 1968 ha scritto un rapporto pionieristico pubblicato da NOW, Token Learning: A Study of Women’s Higher Education in America, in cui ha sfidato i college a fornire alle donne opportunità educative pari a quelle fornite agli uomini. 

A causa del suo coinvolgimento in prima linea nelle proteste studentesche del 1968, era stata sollevata dall’incarico di insegnante alla Barnard.

In quegli anni si è unita al movimento per la pace e al Congress of Racial Equality (CORE) partecipando alle loro proteste.

Nel 1966 è entrata a far parte del comitato della National Organization for Women, successivamente ha creato il primo gruppo di sensibilizzazione lesbico-femminista e si è unita a diverse organizzazioni come New York Radical Women, Radical Lesbians e Downtown Radical Women.

Ha conseguito il dottorato alla Columbia University con una tesi dal titolo Sexual Politics, poi pubblicata, che prendeva spunto dal suo manifesto femminista esposto durante una riunione di un gruppo di liberazione delle donne.

Elaborata successivamente fino a diventare una filosofia, il costrutto logico ruota attorno alla premessa che i rapporti fra i sessi sono un fatto politico. Attingendo a Weber, Engels e Arendt, mostra come la relazione tra i sessi sia caratterizzata da predominio e subordinazione. Sostiene l’istituzionalizzazione di questo rapporto di potere, che iniziando dall’infanzia, porta a una forma di «colonizzazione interiore», un tipo di oppressione «più resistente di qualsiasi genere di segregazione e più rigido della stratificazione di classe». La sua articolata analisi letteraria tocca giganti della letteratura come D.H. Lawrence, Henry Miller e Norman Mailer, dimostrando il sessismo e la degradazione della figura femminile presente nei loro testi.

Il libro, considerato il manifesto del femminismo radicale, mette in discussione le origini del patriarcato sostenendo che l’oppressione basata sul sesso è politica e culturale, postulando che l’annullamento della famiglia tradizionale è la chiave per una vera rivoluzione sessuale.

L’opera le aveva portato un inaspettato successo, trasformandola in una delle più famose attiviste del femminismo internazionale. Invitata in talk show e conferenze in giro per il paese, è anche apparsa sulla copertina di Time che l’aveva appellata la Mao Tse-Tung dell’emancipazione femminile.

Nel 1971, coi proventi delle vendite del libro, ha acquistato una vasta area della città di Poughkeepsie (New York) dove ha fondato la Women’s Art Colony and Tree Farm, una comune di artiste femministe.

Due anni dopo è andata a insegnare all’Università di Berkeley, in California.

Grande successo internazionale ha avuto, nel 1974, il libro In volo. Amori e lotte: un’autobiografia, in cui, partendo dal suo matrimonio con lo scultore giapponese Fumio Yoshimura, ha raccontato del percorso che l’ha portata a fare coming out.

Con l’autobiografico Sita, datato 1977, ha descritto la sua relazione sentimentale con Sophie Keir, la sua compagna di vita.

Nel 1979 si è recata in Iran per conto del Committee for Artistic and Intellectual Freedom per lavorare sul sistema repressivo dell’ayatollah Khomeini nei confronti delle donne. Ha partecipato alla manifestazione di protesta dell’8 marzo all’Università di Teheran che ha visto migliaia di partecipanti picchiate, arrestate e minacciate con l’acido dalle guardie governative. Fermata e spedita fuori dal paese col divieto di rientrarci, ha scritto di questa terribile esperienza nel suo libro Going to Iran, del 1982.   

Nel 1980, è stata tra le dieci artiste che hanno esposto al Great American Lesbian Art Show al Woman’s Building di Los Angeles.
Negli anni si è impegnata in diverse campagne per i diritti umani, contro la tortura e per la riforma carceraria.
Dopo un periodo di grande visibilità, è stata tenuta ai margini e ha vissuto in indigenza, questo ha acuito la sua psicosi maniaco-depressiva che, eviscerata nel libro Il trip della follia, del 1990, mostra una dura critica verso gli ospedali psichiatrici e le terapie farmacologiche.
La sua ultima opera, Mother Millet del 2002, scritto mentre assisteva la madre malata, è uno spaccato sulla sua educazione in provincia e di come ha vissuto da emarginata come attivista politica e artista lesbica.
Nel 2012, The Women’s Art Colony è diventata un’organizzazione non-profit che ha cambiato il suo nome in Millett Center for the Arts.
Nel 2013 è stata inserita nella National Woman’s Hall of Fame.
Grande protagonista della scena culturale statunitense, ha ricevuto numerosi premi, tra cui lo Yoko Ono Lennon Courage Award for the Arts e il New York Foundation for Contemporary Arts Award.
Amata e anche molto criticata per il suo carattere e le posizioni di rottura dei suoi postulati, è una delle protagoniste del documentario sulla storia del femminismo statunitense che porta il titolo di She’s Beautiful When She’s Angry del 2014.

Si è spenta Parigi, il 6 settembre 2017 a causa di un infarto.

#unadonnalgiorno

 

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