Catherine Rottenberg è professoressa associata presso il Dipartimento di studi americani e canadesi dell’Università di Nottingham.
È autrice di Performing Americanness (Dartmouth University Press, 2008), e curatrice di Black Harlem e Jewish Lower East Side (SUNY Press, 2013). Attualmente lavora con altre colleghe alla redazione di un volume intitolato The Care Manifesto, che uscirà nell’autunno 2020.
È appena uscita in italiano la traduzione del suo saggio L’ascesa del femminismo neoliberista che sostiene che questo fenomeno legittima lo sfruttamento della stragrande maggioranza delle donne mentre disarticola qualsiasi tipo di critica strutturale.
Questo nuovo discorso femminista converge con le forze conservatrici che, in nome della parità di genere e dei diritti delle donne, promuovono programmi razzisti e anti-immigrazione o giustificano gli interventi nei paesi a maggioranza musulmana.
Catherine Rottenberg solleva domande urgenti su come riorientare e rivendicare con successo il femminismo come movimento per la giustizia sociale.
Secondo molti progressisti americani, la campagna presidenziale di Hillary Clinton del 2016 e il forte sostegno che ha ricevuto dalle organizzazioni femministe, avrebbero segnato uno dei momenti clou della rinascita di un’agenda femminista negli Stati Uniti. Nei giorni precedenti alle elezioni vi era un’aspettativa sempre più intensa e quasi palpabile, tra un vastissimo numero di persone sulla possibilità di inaugurare una nuova era in cui, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, a capo della nazione più potente del mondo, ci sarebbe stata una donna. Di conseguenza, al risveglio dell’inaspettata disfatta di Clinton, si è rivelato molto più difficile valutare la portata del fatto che una donna si stesse candidando alla presidenza sostenuta da un partito a favore delle donne e identificato come “femminista”.
Secondo numerosi opinionisti e critici, la vittoria di Donald Trump non è che una rabbiosa reazione proprio nei riguardi del femminismo e dei risultati da esso effettivamente conseguiti. La rapidità con la quale Trump ha tentato di trasformare in realtà l’agenda sessista e antiabortista della propria amministrazione sembra dar credito alla posizione secondo cui staremmo assistendo, per l’ennesima volta, all’ennesimo violento colpo di coda contro l’emancipazione delle donne. Ci sono pochi dubbi sul fatto che abbiamo fatto il nostro ingresso in un periodo particolarmente minaccioso della storia degli Stati Uniti, specialmente da quando la nuova amministrazione appare piuttosto determinata nell’erosione di molto di ciò che rimane delle istituzioni, delle agenzie e delle consuetudini del paese, per quanto imperfette potessero essere.
Un assalto conclamato ai diritti delle donne e alla parità di genere sembra essere dietro l’angolo. Il colpo dell’amministrazione statunitense contro i diritti riproduttivi è già stato sferrato. L’amministrazione Trump è carica di inquietanti, e palesemente inconciliabili, contraddizioni. Il suo vicepresidente è un cristiano-evangelico fortemente contrario all’aborto, mentre il capo dei servizi segreti è un indefesso suprematista bianco. Gli altri membri del governo – almeno quelli che si trovano alla guida delle più importanti agenzie governative – incarnano i principi neoliberisti nella loro forma più estrema. Sostengono la deregolamentazione, la privatizzazione e il rafforzamento del capitale, mostrando la più totale indifferenza nei riguardi degli ultimi scampoli della rete di sicurezza del New Deal, o delle urgenti e necessarie politiche ambientali.
Il neoliberismo, solitamente associato alla rimozione di ogni ostacolo al libero flusso transnazionale di capitali e di beni, è diventato l’alleato di un fanatismo nazionalista e nativista, anche in ambito economico.
La ricerca contenuta nel libro inizia nel 2012 quando, dopo un lungo periodo di latenza in cui ben poche donne – e specialmente quelle più potenti – volevano identificarsi pubblicamente come femministe, lo status quo inizia a cambiare tanto rapidamente quanto tragicamente. All’improvviso, molte donne di classe medio-alta, negli Stati Uniti, iniziano a proclamarsi a gran voce femministe, una dopo l’altra: l’ex direttrice del Policy Planning del Dipartimento di Stato americano Anne-Marie Slaughter, l’ex presidente del Barnard College Debora Spar e la direttrice operativa di Facebook Sheryl Sandberg, fino alla giovane star hollywoodiana Emma Watson, o a celebrità dell’industria musicale come Miley Cyrus e Beyoncé.
Il femminismo diventa di colpo accettabile, molto popolare, questo avviene attraverso modalità non aveva mai conosciuto prima. Una delle tesi centrali di questo libro è che la razionalità neoliberista potrebbe ben necessitare del femminismo per risolvere – almeno temporaneamente – una delle sue contraddizioni interne, proprio in relazione al genere.
In quanto ordine economico, il neoliberismo fa chiaramente affidamento sulla procreazione e sul lavoro di cura gratuito per garantire la riproduzione e il mantenimento del capitale umano. Per esempio, le donne lavoratrici (ma anche gli uomini) acquistano sempre più frequentemente, e dunque esternalizzano, servizi di cura nei riguardi di bambini e/o anziani.
In quanto razionalità politica il neoliberismo non conosce altro lessico al di fuori della riproduzione del valore e del lavoro di cura.
Questo non solo perché gli individui sono stati sempre più convertiti in capitale umano generico (attraverso l’occultamento del genere), ma anche perché la divisione tra sfera pubblica e privata – che caratterizza il pensiero liberale e la tradizionale divisione sessuale del lavoro – è stata erosa dalla conversione di tutto in capitale, e attraverso l’infiltrazione di quella razionalità tipica del mercato in tutte le sfere della vita, incluse quelle private.
Questo contribuisce a creare soggetti governati da un sistema di valori fondato sul calcolo costi-benefici che devono organizzare in un certo modo le proprie vite, compiere investimenti intelligenti su se stessi nel presente per aumentare le aspettative di successo nel futuro.
Parallelamente a questa premessa, tuttavia, la tesi di questo libro è che il femminismo neoliberista debba essere inteso come una sorta di grande respingimento della totale conversione delle donne istruite e in carriera in capitale umano generico.
In maniera paradossale e controintuitiva, dal momento che preserva la procreazione come parte della traiettoria normativa di vita delle donne “ambiziose”, e la conciliazione come suo frame normativo e come fine ultimo, il femminismo neoliberista contribuisce a risolvere una delle tensioni costitutive del neoliberismo, facendo sì che le donne in ascesa nel lavoro desiderino una “felice conciliazione tra la carriera e la famiglia” e che tutta la responsabilità per la riproduzione stia tutta sulle loro spalle.
#unadonnalgiorno