Petronilla Paolini è stata una poeta italiana del diciassettesimo secolo, che ha dovuto affrontare ogni avversità e ha combattuto con coraggio ogni convenzione per conquistare la sua libertà.
Nacque a Tagliacozzo nel 1663, figlia unica di Francesco Paolini, barone di Ortona dei Marsi e Carrito, e di Silvia Argoli appartenente a una famiglia di nobili letterati.
Rimasta da piccolissima orfana di padre, assassinato per un intrigo politico, Petronilla divenne subito vittima delle mire dei parenti che ambivano a impadronirsi del titolo e del suo cospicuo patrimonio. Pare che abbiano tentato persino di avvelenarla. Nel 1670 madre e figlia si ritirarono a vivere nel convento dello Santo Spirito di Roma. È lì che venne educata e cominciò ad appassionarsi alla poesia.
Vista la sua dote, cominciò prestissimo a ricevere proposte di matrimonio, fu fatta sposare a 10 anni non ancora compiuti, il 9 novembre 1673, con il quarantenne Francesco Massimi, nobile romano e vice-castellano di Sant’Angelo. L’assurdo matrimonio garantiva una protezione «eccellente» alla famiglia in cambio dei beni paterni e della serenità della bambina – fu reso possibile da una speciale licenza di papa Clemente X, parente dello sposo.
Petronilla, due anni dopo, si trasferì nel palazzo della famiglia Massimi all’Ara Coeli e poi a Castel Sant’Angelo, allora carcere pontificio, dove visse da reclusa in tre stanze con le gelosie alle finestre. Unica compagnia quella dei figli e della scrittura. Ma il marito, intransigente e violento, pian piano le tolse tutto. Le vietava anche di parlare alla servitù, guardare negli occhi chi le parlava, indossare gioielli o abiti colorati. Quando scoprì che una domestica le aveva regalato un calamaio fece perquisire la sua stanza e per punizione le tolse ogni cosa lasciandole solo il letto e l’inginocchiatoio.
Quando questi la separò anche dai suoi bambini, Petronilla tornò a vivere nel convento dove viveva sua madre. Restava segregata e sotto la tutela del coniuge, ma libera dalle sue prepotenze e dalle botte. Visse in miseria perché lui rifiutava di restituirle la dote. Quando il figlio Domenico si ammalò e, poco dopo, morì le fu impedito di accudirlo e dirgli addio. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Petronilla trascinò il marito in tribunale per ottenere la separazione. Nonostante le molte testimonianze che provavano i maltrattamenti subiti e giustificavano il suo abbandono della casa, la Sacra Rota imputò a lei la colpa di aver rovinato il matrimonio, che non venne sciolto. Le fu accordato il consenso a rimanere in convento ma senza un soldo.
Si dedicò allora alle lingue, alla filosofia e tornò a scrivere, entrando in diverse accademie che le garantivano prestigio e fama ma anche protezione. Il processo e la sua audacia nel lasciare il marito fecero scalpore e il mondo letterario provava simpatia per questa donna determinata che fronteggiava le avversità a testa alta rivendicando la propria autonomia.
Petronilla Paolini era consapevole del suo valore e non accettava di essere succube di un marito gretto e violento né che alle donne fosse precluso l’esercizio dell’intelletto.
La poesia per lei non era soltanto qualcosa di proibito da conquistare ma anche strumento di denuncia, mezzo per dimostrare le proprie capacità – sue e delle donne in generale – e non cadere nell’oblio a cui inevitabilmente sarebbe stata destinata se non avesse alzato la voce.
Nella sua poesia ci sono riflessioni sulla condizione femminile: si affronta la discriminazione delle donne, si condanna il dominio maschile, si auspica l’uguaglianza tra i sessi.
Alla morte del marito, nel 1707, la poeta poté uscire dal convento e tornare a palazzo, ormai libera e indipendente. Ma una volta rimesse le mani sul suo patrimonio i parenti paterni le si affollarono intorno per estorcerglielo.
Lasciò tutto ai figli riservandosi il diritto di risiedere a palazzo Massimi per dedicarsi unicamente alla poesia. Nel corso di tutta la vita ha scritto sonetti e canzoni, rime devozionali, drammi per musica e memorie, anche se molte delle sue opere sono andate perdute.
Morì a Roma nel 1726. È stata sepolta nella chiesa di Sant’Egidio a Trastevere, che l’aveva ospitata da bambina e l’aveva protetta quando ne aveva avuto bisogno.
Petronilla Paolini è stata una figura affascinante, femminista ante litteram che non si è piegata a un uomo violento e a un destino infame.
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