La frase “Non esiste una patria libera senza donne libere” ha riecheggiato nelle comunità palestinesi nel settembre 2019 quando migliaia di donne sono scese in strada in dodici villaggi, paesi e città del mondo in quello che è stato il lancio di Tal’at, il movimento femminista palestinese, che in arabo significa uscire fuori. Per la prima volta nella storia recente le donne palestinesi hanno agito sotto una bandiera apertamente politica e femminista.
Con la scelta delle strade come luogo di lotta, hanno alzato la voce contro la violenza di genere in tutte le sue manifestazioni: femminicidio, violenza domestica, sessismo incorporato e sfruttamento, affermando che il sentiero verso la vera liberazione deve includere l’emancipazione di ogni palestinese, incluse le donne.
L’elemento scatenante è stato l’uccisione di Israa Ghrayeb, nell’agosto 2019. La ragazza ventunenne di Betlemme è picchiata brutalmente dai membri della sua famiglia che l’hanno seguita in ospedale ospedale dove hanno continuato ad accanirsi su di lei, fino a che non è morta. Le grida di aiuto di Israa al pronto soccorso sono state documentate dallo staff medico e condivise sui social media.
Israa Ghrayeb è stata una delle trentanove donne palestinesi uccise nel 2019.
Due settimane dopo il suo omicidio, Riya Al-Sanah, con un piccolo gruppo di donne ha emesso una chiamata alla protesta, spingendo le donne a scendere in strada, alzare la voce e agire.
La sicurezza e la dignità delle palestinesi non è una questione che riguarda solo le donne, ma deve essere alla base della nostra politica emancipatoria nei discorsi e nell’agire, perché non esiste una patria libera senza donne libere.
Tal’at segna una nuova era per il femminismo palestinese, è un movimento con radici indipendenti che sta provando a forzare un discorso femminista rivoluzionario nell’agenda politica.
Oltre a porre una minaccia diretta alla vita e alla riproduzione sociale, per rafforzare ulteriormente il suo controllo, Israele ha lavorato strategicamente per colpire e frammentare i palestinesi dal punto di vista sociale, politico ed economico. La privazione dell’agire collettivo delle comunità palestinesi si accompagna al consolidamento delle strutture parentali patriarcali. Cosa che si acuisce in particolare nel caso dei palestinesi in Israele dove si sviluppano relazioni beneficiarie tra il governo e i capi delle famiglie estese, o gli sceicchi.
Tra i benefici, lo Stato concede a questi uomini l’autorità di gestire quelle che sono considerate questioni “intracomunitarie”. Così, ad esempio, la polizia israeliana ha riconsegnato donne in fuga che si sospetta subiscano abusi dai loro parenti e coniugi, alle stesse persone da cui scappavano.
L’occupazione culmina in un sistema di violenza a più strati dove le relazioni di potere nelle forme sociali, economiche e di genere sono intensificate e riprodotte. L’oppressione è sistematica e radicata strutturalmente nel capitalismo, intersecandosi con la razza, la sessualità, l’ambientalismo.
Una realtà che non può essere esclusa da questa matrice di oppressione è la paralisi sistematica dello sviluppo economico palestinese e la trasformazione dei palestinesi, incluse le donne, in una forza lavoro economica e sfruttabile.
Il movimento politico palestinese continua a giocare un ruolo attivo nell’estromettere e minimizzare l’emancipazione delle donne come una questione che dovrebbe essere articolata sulla base dei diritti individuali neoliberisti e all’interno dei confini delle organizzazioni no-profit femminili. La sicurezza e la dignità delle donne vengono presentate come una battaglia secondaria che dovrebbe essere posposta alla liberazione “geografica”.
Tal’at è un movimento che si è sviluppato per cambiare questa realtà forzando le politiche emancipatorie in programma, affermando che la lotta di liberazione deve essere basata sul centrare le esperienze di coloro che sono emarginate socialmente, politicamente ed economicamente e praticando una solidarietà attiva con tutti quelli e quelle che subiscono le barbarie del sistema corrente.
Aspiriamo alla costruzione di un mondo diverso, perché la nostra emancipazione dipende dalla distruzione del capitalismo, del colonialismo e del patriarcato.
Tal’at è una lotta interna alla Palestina per la costruzione del tessuto sociale e politico, con l’avvio di un processo di guarigione collettiva radicale, che caratterizza la lotta di liberazione delle donne, nel discorso e nella pratica.
Tal’at colloca la comunità palestinese e le relazioni sociali in un più ampio contesto di violenza sistemica. Questo rende la lotta per l’emancipazione di gruppi oppressi e emarginati una questione intrinsecamente politica, che comprende il corpo politico palestinese come un tutto indiviso.
Ci impegniamo a centrare e rendere visibili le narrazioni e le esperienze delle donne per modellare la nostra lotta di liberazione sia nella teoria che nella pratica.
Tal’at colma un vuoto nel panorama politico e femminista della Palestina.
Attualmente il movimento femminista cerca di unire le donne palestinesi, nonostante le loro geografie frammentate e le varie esperienze vissute, sotto un unico ombrello femminista esplicitamente politico che guarda alle radici strutturali dell’oppressione e dell’espropriazione, riunendo così strutture analitiche anticoloniali e anticapitaliste.
Questo processo di costruzione collettiva e di solidarietà fa parte di un processo di guarigione radicale che apre la strada verso una patria libera e sicura e una liberazione radicata nella giustizia e nell’emancipazione.
Nelle case, gli abusi sulle donne continuano: l’ultimo femminicidio a Gaza è stato a fine maggio, la 20enne Madeleine Jarabia. Queste violenze derivano da un sistema patriarcale dai due volti, quello dell’occupazione militare e coloniale e quello di una parte di società palestinese conservatrice e maschilista. Non è un discorso legato allo Stato, ma all’uguaglianza e all’equità.
Le attiviste vogliono una Palestina giusta per ogni membro della società, quale sia genere, razza o religione o condizione economica. Nel 2019 c’è stato un aumento delle violenze contro le donne in Palestina e nel mondo. Sono aumentate con l’impoverimento, la repressione interna, lo sfruttamento economico e sociale.
Questa situazione non può essere separata dalla realtà politica: l’oppressione delle donne è legata alla realtà di colonizzazione in cui vivono. Tutte le donne in Palestina vivono una forma diversa di oppressione. C’è una cultura del silenzio e la liberazione del popolo non può essere slegata da quella delle donne. Non si può avere una nazione libera senza la liberazione delle donne e di ogni settore della società.
#unadonnalgiorno