Isabel Díaz Albornoz è stata una delle più importanti attiviste del femminismo operaio in Cile sin dal primo decennio del secolo scorso.
Di lei sappiamo ancora troppo poco. Uno dei primi riferimenti risale al 1917, dove nel quotidiano El Socialista, è nominata nelle figure di spicco dello sciopero della Pampa. È stata tra le donne che, per impedire il transito del treno che trasportava krumiri e militari, si stesero sui binari. Nel 1920, fonda a Santiago il Consiglio delle Donne, instancabile attivista e propugnatrice dell’organizzazione del lavoro femminile.
Pochi anni dopo, in qualità di esponente delle Federación Obrera Chilena, chiamava alla mobilitazione tutte le donne che dovevano far fronte alla fame e alla miseria, accudire i figli e i mariti, affinché lottassero per i loro diritti per migliorare la loro condizione. Nel marzo 1925, organizzò la Settimana femminista con Micaela Troncoso e Virginia Carvajal, future donne di primo piano nella Commissione femminista del Partito comunista.
Tra le prime a capire la necessità di unire la lotta di classe a quella di genere, contribuì a fondare il Movimiento Pro-Emancipación de las Mujeres de Chile, proponendo che diventasse la principale organizzazione referente delle donne operaie.
I suoi modi di fare, molto diretti e talvolta burberi, la portarono a essere odiata dagli uomini all’interno del suo stesso partito, tanto da etichettarla come lesbica.
Militava attivamente nel Partito comunista cileno quando fu arrestata nel 1931, unica donna tra i 55 leader politici confinati nella regione di Aysén. Tornò in libertà con l’amnistia dopo la caduta del regime di Carlos Ibáñez.
Non si sa in quali circostanze né come morì Isabel Díaz Albornoz, poiché non esiste alcuna biografia che racconti la sua vita e le sue lotte.
Proprio lei che si era battuta affinché i diritti delle donne non fossero resi invisibili, ha finito per essere dimenticata dallo stesso Partito comunista cileno.
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