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Nadia Murad

Nadia Murad

Bisogna assolutamente far crescere l’attenzione verso lo stupro come arma di guerra ed equipararlo alle altre condotte che costituiscono, ai sensi del diritto internazionale, un crimine di guerra.

Nadia Murad è l’attivista yazida irachena vincitrice del premio Nobel per la Pace nel 2018 e la prima ambasciatrice ONU per la dignità delle persone sopravvissute alla tratta di esseri umani. 

Deportata, violentata e ridotta in schiavitù dall’ISIS, ha raccontato al mondo la sua storia dolorosa, ritenendo un dovere la lotta per la giustizia e il diritto di rimarginare ferite, affinché vicende come la sua non accadessero mai più.

È la fondatrice di Nadia’s Initiative, organizzazione dedicata alla ricostruzione di comunità in crisi e alla difesa delle donne sopravvissute alla violenza sessuale.

Nata il 10 marzo 1993 a Kocho, nel nord dell’Iraq, in una famiglia povera e numerosa (dodici tra fratelli e sorelle) appartenente alla minoranza etno-religiosa yazida.

Nell’agosto del 2014 è stata rapita nel suo villaggio durante la campagna genocidaria dello Stato Islamico contro le minoranze, in particolare quella yazida. Quel giorno ha perso la madre e sei fratelli e gli uomini dell’Isis l’hanno sequestrata, picchiata, torturata e stuprata ripetutamente. 

È stata poi venduta come merce, insieme alle sorelle, ai mercati delle sabaya, le schiave e, più volte, violentata e rivenduta. 

Dopo quattro mesi è riuscita a fuggire grazie a una distrazione di un militare e, grazie a una famiglia che l’ha aiutata, ha raggiunto il campo profughi di Dihok, nel nord dell’Iraq, da lì, poi, grazie a un programma umanitario si è rifugiata a Stoccarda, in Germania.

Prima di lasciare il campo profughi, aveva testimoniato per la prima volta, con uno pseudonimo, ciò che le era accaduto al giornale La Libre Belgique.

L’abisso della prigionia, gli stupri selvaggi, le torture fisiche e psicologiche, le continue umiliazioni, le tremende sevizie le hanno lasciato cicatrici indelebili sul corpo e nell’anima, non l’hanno ridotta al silenzio, cancellandone l’identità, ma è riuscita a farsi portavoce della sua gente e di tutte le vittime dell’odio bestiale dell’ISIS.

Nel 2015 ha parlato davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, portando all’attenzione della stampa il dramma del genocidio del suo popolo. Ha intentato una causa contro i suoi aguzzini, rappresentata dall’avvocata Amal Alamuddin Clooney, per chiedere che l’Isis e i colpevoli delle atrocità inflitte a lei e alla sua gente comparissero di fronte alla Corte penale internazionale dell’Aia per essere giudicati.

Nel 2016 è stata nominata Ambasciatrice Onu per la dignità delle persone sopravvissute alla tratta di esseri umani e insignita dal Parlamento europeo del Premio Sakharov per la libertà di pensiero.

Nello stesso anno ha fondato la Nadia’s Initiative per sostenere lo sviluppo sostenibile della patria degli yazidi a Sinjar e sul perseguimento di una giustizia per le persone sopravvissute alle atrocità dell’ISIS.

Nel 2017 ha pubblicato il libro The Last Girl: My Story of Captivity, and My Fight Against the Islamic State, in cui racconta la sua prigionia e lo straziante genocidio commesso dall’Isis contro il suo popolo che in italiano ha il titolo di L’ultima ragazza. 

Nel 2018 ha vinto il premio Nobel per la pace, insieme all’attivista e medico congolese Denis Mukwege, per i loro sforzi volti a mettere fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra e conflitto armato.

La grande attenzione mediatica l’ha resa bersaglio di continue minacce e intimidazioni, ma non ha mai smesso di portare avanti la sua battaglia.

Con la sua organizzazione ha collaborato con il Mine’s Advisory Group per sminare più di 2,6 milioni di metri quadrati di terreno a Sinjar, in Iraq.

Ha collaborato con la missione tedesca presso le Nazioni Unite per contribuire alla stesura e all’approvazione della risoluzione 2467 del Consiglio di sicurezza che amplia gli impegni per porre fine alla violenza sessuale nei conflitti e sottolinea un approccio alla giustizia e alla responsabilità incentrato sui sopravvissuti.

Insieme a Denis Mukwege ha fondato il Global Survivors Fund per garantire che le sopravvissute agli stupri di guerra abbiano accesso a risarcimenti.

Nel 2020 ha iniziato a collaborare con l’Institute for International Criminal Investigations e con la Preventing Sexual Violence in Conflict Initiative del governo del Regno Unito per stabilire il Codice Murad, iniziativa consultiva globale volta a costruire e sostenere una comunità di pratiche riguardanti le sopravvissute alla violenza sessuale legata ai conflitti.

Nel marzo 2021, il parlamento iracheno ha approvato la legge sulle donne yazide sopravvissute che riconosce formalmente il genocidio e il trauma derivante dalla violenza sessuale. Ha collaborato con la Coalizione per le Giuste Riparazioni per redigere e sostenere la legge.

Più di recente si è spesa per lo sviluppo sostenibile della patria degli yazidi a Sinjar e sul perseguimento di una giustizia per le persone sopravvissute alle atrocità dell’ISIS.

Gran parte della distruzione della mia comunità è dovuta alla violenza sessuale. La violenza sessuale non è solo un bottino di guerra, l’ISIS ha scritto manifesti e istruzioni su come schiavizzare le donne e renderle vittime di traffico di esseri umani. La tortura fisica e psicologica delle donne era una parte fondamentale della loro azione. Lo era perché essa frattura l’intera comunità, dal momento in cui le donne vengono violate in questo modo.

Nadia Murad, vittima di crimini di guerra, ha rifiutato di accettare le norme sociali che impongono alle donne di rimanere in silenzio e vergognarsi degli abusi a cui sono state sottoposte.

Con straordinario coraggio, racconta le sue sofferenze e parla a nome di coloro che non hanno voce.

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