Ricordo, all’inizio della pandemia di Covid-19, la speculazione su quanto sarebbe stata apocalittica se avesse colpito il continente africano. C’era grande preoccupazione su cosa avrebbe significato per i paesi con popolazioni a basso reddito, economie difficili da regolare e strutture sanitarie di gran lunga inferiori rispetto al Regno Unito o all’Italia. Nessuno sa quale sarà il futuro corso della pandemia: il continente africano, come il resto del mondo, non è ancora fuori pericolo. Ma ciò che è accaduto è che molte nazioni africane, rendendosi conto presto che i test su larga scala erano troppo costosi e le terapie intensive insufficienti per la popolazione, hanno adottato un approccio più creativo.
Ho esaminato due paesi nello specifico: Senegal e Ghana. Il Senegal sta sviluppando un kit test Covid-19 che costerebbe $ 1 a paziente, che si spera possa rilevare, in meno di 10 minuti, sia l’infezione attuale che precedente attraverso la saliva. I test britannici, quelli che usano la reazione a catena della polimerasi, o PCR, per rilevare il virus, costano centinaia di dollari. Mi è arrivato a casa, a Londra, un volantino che offriva un kit test privato per £ 250.
Il Senegal ha iniziato la pianificazione della risposta al Covid-19 a gennaio, non appena è stato lanciato il primo avviso internazionale sul virus. Il governo ha chiuso i confini, ha avviato un piano globale di ricerca dei contatti e, poiché è una nazione di famiglie a occupazione multipla, ha offerto un letto per ogni singolo paziente coronavirus in un ospedale o in una struttura sanitaria comunitaria per impedire il contagio.
Di conseguenza, questa nazione di 16 milioni di abitanti ha avuto solo 30 morti. Ogni persona morta ha avuto un nome e un cognome e una famiglia di appartenenza. Certo, con un numero così basso è facile individuare una persona dietro ogni morte. In ognuna di queste tappe, il Regno Unito ha fatto esattamente il contrario e ora il bilancio delle vittime è di oltre 35.000 persone.
Il Ghana, con una popolazione di 30 milioni di abitanti, ha un bilancio di vittime simile al Senegal. Perché si è utilizzato un gran numero di operatori sanitari e volontari per verificare i contagiati, e per l’uso di tecniche innovative come il “pool testing”, campioni di sangue multipli che vengono testati insieme e seguiti da test individuali soltanto se viene trovato un risultato positivo. I vantaggi di questo approccio sono ora allo studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In tutto il continente africano, la mancanza di accesso a costosi prodotti farmaceutici, per non parlare di una storica mancanza di fiducia nella medicina, ha ampliato la ricerca ai rimedi erboristici tradizionali. In particolare una pianta, l’Artemisia annua, o assenzio dolce, della famiglia delle margherite, sta attirando particolare attenzione dopo che il presidente del Madagascar, Andry Rajoelina, ha affermato che poteva essere una “cura” per il Covid-19.
L’OMS, chiaramente, dichiara che sono necessari ulteriori studi prima che si possa considerare come trattamento per la malattia. Ho personalmente contattato il dottor Max Planck dell’Institute of Colloids and Interfaces in Germania, che attualmente sta conducendo prove cliniche su una razza diversa della stessa pianta, in questo caso coltivata nel Kentucky. Questa varietà particolarmente potente di assenzio dolce viene testata sulle cellule per determinare la sua efficacia nella lotta alle infezioni da coronavirus e i risultati finora, mi ha confermato il direttore dell’istituto, il professor Peter Seeberger, sono “molto interessanti”. Probabilmente seguiranno studi clinici sugli esseri umani.
Più di 20 paesi africani hanno già ordinato la versione del Madagascar, dando fiducia a Rajoelina, che ha iniziato a presentarsi alle riunioni e alle apparizioni televisive con una bottiglia di una bevanda marrone a base di erbe prodotte dalla pianta, pubblicizzandone i benefici.
Il motivo per cui non se ne sente parlare, dice, è a causa degli atteggiamenti condiscendenti nei confronti dell’innovazione africana. “Se fosse stato un paese europeo a scoprire davvero questo rimedio, ci sarebbero così tanti dubbi?” ha chiesto alla televisione francese. “Non credo.”
Gli scienziati dovranno dire se la sua “cura” funziona davvero (tra quelli che chiedono una migliore prova della sua sicurezza e efficacia è proprio la National Academy of Medicine del Madagascar).
C’è da dire, però, che sullo scetticismo eurocentrico, il presidente del Madagascar ha ragione. Il continente africano ha una grande storia di innovazione per uscire dai problemi, basti guardare come il denaro mobile e il fintech lo hanno trasformato in una delle aree più digitalmente esperte del mondo. È stato anche ampiamente documentato come un atteggiamento condiscendente nei confronti dell’Asia orientale sia stato ciò che ha permesso ai paesi europei di essere impreparati davanti alla diffusione di questa malattia.
Questo atteggiamento dovrebbe insegnarci a prendere le lezioni che l’Africa ha da offrire per poterla superare.
Afua Hirsch scrive per il Guardian, è una conduttrice televisiva e una scrittrice nata nel 1981. È stata direttrice per gli affari sociali e l’educazione di Sky News dal 2014 al 2017.
Afua Hirsch ha studiato filosofia, politica e economia a Oxford. Si è poi laureata in Giurisprudenza alla BPP Law School. Si è occupata di cooperazione internazionale, diritto e giornalismo.
Corrispondente dell’Africa occidentale per The Guardian, ha vissuto tra Gran Bretagna e Senegal.
Tante le sue reinterpretazioni della storia dal punto di vista della gente nera che hanno fatto scalpore nella stampa britannica. Come la proposta di rimozione della Statua di Nelson a Trafalgar Square, nel 2017, perché simbolo di supremazia bianca in quanto Nelson era anti abolizionista.
Afua Hirsch ha poi anche emergere aspetti poco noti della carriera dell’ex primo ministro britannico Winston Churchill, come il suo atteggiamento nei confronti degli indiani e la difesa dei gas usati contro le “incivili tribù” della Mesopotamia (oggi Iraq moderno) dopo la prima guerra mondiale.
Insomma, una donna che non le manda a dire e soprattutto una voce autorevole e preparata contro l’imperversante eurocentrismo. Una donna che non si fa imbavagliare.
#unadonnalgiorno