Susan Sontag è stata una scrittrice, filosofa e storica statunitense, impegnata in battaglie sociali, politiche, umane.
Americana, ebrea, omosessuale, ha scritto saggi su temi non comuni per i tempi vissuti, spaziando con grande curiosità e intelligenza in diversi campi: si è occupata di fenomeni di costume, dalla letteratura pornografica alle droghe, al cinema, alla fotografia, all’arte moderna, all’estetica omosessuale, al significato delle malattie vissute e interpretate nelle società di tutti i tempi.
Pur essendo nata e cresciuta a New York, nel 1933, non si è quasi mai occupata di cultura americana. È sempre stata ai margini delle principali correnti artistiche del suo tempo. Ha trattato temi all’epoca inusuali, come i significati culturali di malattie come l’Aids e il cancro, non ha mai mostrato interesse per la cultura pop, al contrario di molti suoi contemporanei.
Di questi aspetti ha fatto una sorta di missione di vita, scegliendo di andare controcorrente si è isolata dal resto del mondo culturale, in particolare dagli ambienti intellettuali ebraici che animavano la New York degli anni Sessanta e Settanta. Susan Sontag è nota per il suo approccio convintamente antirealista e avverso alla critica ufficiale.
Nata a New York da un immigrato ebreo polacco, Jack Rosenblatt, che muore di tubercolosi durante un viaggio di lavoro in Cina quando Susan ha solo cinque anni, e da Mildred, la scrittrice acquisisce il cognome del nuovo marito della madre, Nathan Sontag, nel 1945, e cresce in Arizona e poi in California, dove si diploma a soli quindici anni.
Diventata adulta molto presto, a diciassette anni, sposa un suo professore; a diciotto si laurea in filosofia e lettere, a diciannove ha un figlio. Studia a Harvard, Oxford e Parigi. Ha vissuto in fretta ogni esperienza come fosse inseguita da qualcosa a cui dover sfuggire.
Divorzia nel 1958 ma non fa coming out fino agli anni Duemila, nonostante le numerose relazioni con altre donne, tra cui quella, iniziata nel 1989 e continuata fino alla scomparsa della scrittrice nel 2004, con la fotografa Annie Leibovitz.
Collabora con giornali importanti: «Partisan Review», «New Yorker». Prende posizione contro le guerre in Bosnia, in Iraq e in Vietnam pubblicando le fotografie di guerra in un libro Davanti al dolore degli altri. Dopo l’attentato alle Torri gemelle sostiene che è conseguenza delle alleanze americane e che i terroristi non possono essere collocati tra i vigliacchi. Giudizi che deve rivedere per la forte reazione dell’opinione pubblica.
Si impegna per i diritti delle donne e dei neri.
Viene premiata dalla Francia con l’Ordine delle Arti e delle lettere nel 1999, dalla Spagna con il Premio Principe delle Asturie nel 2003, con il National Book nel 2000 per il romanzo In America.
Il dolore le fa scrivere i suoi saggi più interessanti e struggenti, Malattia come metafora e l’Aids e le sue metafore. Li scrive quando sa di avere il cancro e la riflessione sulla malattia appare una esigenza. Non serve piangere ma ragionare e capire perché certi mali sono utili al potere e alla società.
La tubercolosi, la sifilide, il colera, la lebbra, il cancro, l’Aids: in ogni epoca se n’è utilizzata una per diffondere panico e paura, soprattutto se si poteva attribuire la malattia a comportamenti inaccettabili e scorretti secondo una certa morale corrente.
Le riflessioni di Susan Sontag muovono da una esigenza conoscitiva, una ricerca che è anche un modo di guardare il Male per conoscerlo e affrontarlo quasi fosse l’unica maniera per dargli una dimensione che si può anche contrastare e combattere.
Il dolore emerge da molti passaggi dei suoi diari, pubblicati postumi dal figlio. Il dolore per l’amore che vive, la meditazione sulla trasformazione dei sentimenti, dei rapporti.
Il mio desiderio di scrivere è connesso alla mia omosessualità. Ho bisogno di quell’identità come di un’arma, da contrapporre all’arma che la società usa contro di me. Essere omosessuale mi fa sentire più vulnerabile. (24 dicembre 1959).
Susan Sontag affronta l’esistenza, si oppone alle convenzioni, guarda all’amore e agli esseri umani con pietas, ragione e forza.
Capire per Susan Sontag vuol dire afferrare, poiché lo strumento che usa è l’intelletto; a un certo punto si definisce una kantiana, poiché per lei la comprensione non può che essere intellettuale, un’intellettualità intrisa di sessualità.
Capire vuol dire afferrare, stringere a sé, e nel contempo ferirsi, restare colpita nel corpo a corpo con la propria vita, con la propria capacità di comprensione. A Susan Sontag non interessa il come; è invece per il perché. Eppure, come scopre presto, non c’è un solo perché, ma molti, contemporaneamente veri, o anche completamente falsi. Questo ci fa capire la natura così straordinaria dei suoi scritti, effetto di quel doppio movimento: frutto della natura sessuale del suo intelletto, e nel contempo della natura intellettuale del desiderio fisico.
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