Rosa Rosà è stata una scrittrice, illustratrice e pittrice futurista.
Nata a Vienna nel 1884 da una famiglia aristocratica con il nome di Edith von Haynau, frequenta la scuola d’arte. Nel 1907, durante una crociera a Capo Nord, conosce lo scrittore italiano Ulrico Arnaldi che sposa l’anno seguente. Si trasferisce a Roma e insieme hanno quattro figli. Durante la guerra, mentre il marito è al fronte, si accosta al futurismo. Sceglie lo pseudonimo di Rosà da una cittadina del Veneto e lo raddoppia: Rosa Rosà.
Collabora con la rivista “Italia futurista” (1916-1918) e si dedica alla scrittura, al disegno e alla grafica. Sulla rivista pubblica anche una serie di articoli sulla questione femminile, oltre a numerosi racconti.
Il gruppo futurista fiorentino è caratterizzato da una concezione cerebrale dell’arte, con forti interessi per l’occultismo, la magia, la metapsichica e tutti i relativi fenomeni, secondo una poetica che si propone un’arte «asimmetrica, sproporzionale, mostruosa magari». Il linguaggio poetico è libero, bizzarro, inatteso. Il poeta, moderno sciamano, diventa una specie di veggente, capace di vedere oltre la sfera degli oggetti visibili, tattili, olfattivi, gustativi, verso lo sgretolamento di tutti i sensi.
Rosa Rosà si presenta in questo gruppo come un’artista eclettica che intende l’arte anche come laboratorio.
La sua attività di disegnatrice è preponderante, ma si occupa anche di ceramica, scultura, realizzazione di arti applicate: stoffe, copertine per i libri, carte geografiche, manifesti. Considera l’arte investimento di energia psichica, oggettivazione del sé.
Nel 1917 la rivista “Italia futurista” ospita un articolato dibattito sulla questione femminile. Rosa Rosà partecipa con una serie di articoli che fanno emergere convinzioni chiare e nette sul tema. Le sue argomentazioni sono inserite nel contesto di una approfondita analisi storico-sociale che fa da sfondo alle riflessioni generali sulle donne a cui la guerra ha dato forza e visibilità costringendole a entrare nel mondo del lavoro facendo loro scoprire la possibilità di essere autonome e indipendenti. Si tratta di un percorso irreversibile che è nato dalle circostanze e non è frutto di volontà politica o di scelte personali: le donne dopo la guerra diventano compagne dei loro uomini in una dimensione del rapporto trasformata in senso paritario.
Nel suo romanzo Una donna con tre anime (1918) unisce abilmente princìpi futuristi con una ricerca fantastica di una nuova identità femminile e temi occulti. Si potrebbe anche pensarlo come un romanzo di proto fantascienza.
Il testo è costruito attraverso immagini e atmosfere giustapposte, senza connessioni, quasi una serie di disegni o di quadri. Ma la scrittura è molto chiara e le spiegazioni hanno quasi un tono didascalico. È sempre presente una arguta ironia, pur nella serietà dell’impianto generale.
Nei suoi disegni compaiono spesso visioni di città futuribili, dove case, altissime, alternate a ciminiere di fabbriche, si distorcono in composizioni violente, a innesti multipli secondo un principio di completa disarticolazione costruttiva. Nel suo stile composito espressionismo, secessione, elementi Art Nouveau, echi da Klimt e da Kubin si mescolano alle compenetrazioni dinamiche futuriste, sempre con grande attenzione al tessuto grafico.
Ma è soprattutto nella città narrata che Rosa Rosà rivela la sua straordinaria capacità di trattare la tematica urbana cogliendone il respiro, la vita sotterranea, i rapporti minimi tra le cose, il turbinare di ritmi, suoni, colori, il confronto quotidiano tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.
Il suo percorso personale, la sua trasformazione di crescita interiore, la porterà ad essere prima Edyth von Haynau, aristocratica austriaca, poi Rosa Rosà, futurista italiana, fino a Edyth Arnaldi, illustratrice e studiosa del passato.
Ha lasciato la terra nel 1978.
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