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Emma Goldman, la donna più pericolosa d’America

Emma Goldman anarchica femminista

Se non posso ballare, allora non è la mia rivoluzione.

Emma Goldman (29 giugno 1869 –14 maggio 1940).

Anarchica, femminista, saggista e filosofa statunitense di origine russo-lituana. Figura eroica e affascinante dell’anarchismo femminista, elaborò una concezione radicale e moderna dell’emancipazione femminile. Per Emma Goldman la liberazione delle donne doveva passare non solo attraverso la rottura delle coercizioni esterne, l’acquisizione del diritto al suffragio, l’indipendenza economica, ma soprattutto attraverso la rottura delle costrizioni interne, psicologiche ed emotive; introducendo un tema importantissimo nel pensiero femminista successivo, l’azione politica doveva partire dall’esperienza soggettiva, dalla biografia, dal corpo, dalla sessualità, da un rinnovamento interiore.

La storia ci ha insegnato che ogni classe oppressa ha ottenuto la sua liberazione dagli sfruttatori solo grazie alle sue stesse forze. È dunque necessario che la donna apprenda questa lezione, comprendendo che la sua libertà si realizzerà nella misura in cui avrà la forza di realizzarla. Perciò sarà molto più importante per lei cominciare con la sua rigenerazione interna, facendola finita con il fardello di pregiudizi, tradizioni e abitudini. La richiesta di uguali diritti in tutti i campi è indubbiamente giusta, ma, tutto sommato, il diritto più importante è quello di amare e di essere amata. Se dalla parziale emancipazione si passerà alla totale emancipazione della donna, bisognerà farla finita con la ridicola concezione secondo cui la donna per essere amata, moglie e madre, debba comunque essere schiava o subordinata. Bisognerà farla finita con l’assurda concezione del dualismo dei sessi, secondo cui l’uomo e la donna rappresentano due mondi agnostici.

Nata a Kovno, in Russia (oggi Lituania), era emigrata in America a 11 anni con la famiglia e si era avvicinata all’anarchismo in seguito agli eventi di Chicago del 1886, fra lavoratori in sciopero e polizia. In seguito alla morte di alcuni poliziotti, erano stati arrestati cinque esponenti anarchici,  con l’evidente scopo di colpire il movimento di emancipazione dei lavoratori. Emma Goldman fu sconvolta dalla tragica fine dei cinque rivoluzionari che furono impiccati nella piazza di Haymarket (11 novembre 1887). L’episodio fu una della più indegne montature giudiziarie di quel periodo negli Stati Uniti. La giovane donna sentì crescere in lei l’ammirazione per quegli uomini, per il loro comportamento coerente e fiero, per le loro idee. Le loro idee divennero le sue.

Nel 1892, Emma Goldman con il suo compagno di vita e lotta Alexander Berkman, attentò alla vita di un padrone responsabile della morte di alcuni operai durante uno sciopero e fu arrestata per la prima volta. Nel 1894 fu condannata ad un anno di carcere sotto l’accusa di aver “incitato alla sovversione” un gruppo di disoccupati nel corso di un comizio. Da allora in poi anche la stampa cominciò a occuparsi regolarmente di lei, delle sue attività, delle sue vicissitudini giudiziarie e le fu applicato il soprannome di Red Emma. Nel 1906,  iniziò la pubblicazione del giornale anarchico Mother Earth (Madre Terra). L’anno successivo partecipò al Congresso Internazionale Anarchico tenutosi ad Amsterdam, in quell’occasione conobbe molti militanti di primo piano provenienti da tutto il mondo, tra i quali Errico Malatesta.

Nonostante i suoi compagni la invitassero a occuparsi dei problemi dei lavoratori più che della sessualità, Goldman pensava che troppo radicata era la sudditanza delle donne per poter essere superata attraverso concessioni esclusivamente economiche o giuridiche: aveva visto «troppi corpi devastati e spiriti distrutti dalla schiavitù sessuale» per ritenerla una questione secondaria.

Così, tra le tante sue battaglie accanto alle lavoratrici, alle prostitute, alle partorienti povere come infermiera nel Lower East Side a New York, pionieristica fu quella per il controllo delle nascite.

Negli Stati Uniti era in vigore dal 1873 il Comstock Act, uno statuto federale che proibiva la pubblicazione o la circolazione di materiali informativi, definiti «osceni», che riguardavano la contraccezione e l’aborto. Ma Emma Goldman era consapevole che il controllo delle nascite era essenziale per la libertà, oltre che sessuale (nel sesso vedeva una delle più libere espressioni della persona, e non doveva essere quindi limitato alla sola funzione procreativa), anche economica delle donne e delle famiglie (allora spesso talmente numerose da renderne impossibile il sostentamento), e aveva cominciato a diffondere le sue idee in una serie di conferenze e comizi assai partecipati.

Fu Emma Goldman a introdurre a quella battaglia l’infermiera Margaret Sanger, che ne sarebbe divenuta poi la leader e che avrebbe per prima coniato, nella sua rivista The Woman Rebel, l’espressione “controllo delle nascite” in luogo di altre più eufemistiche come “limitazione familiare”.

Le due donne furono arrestate più volte, riuscendo tuttavia a trasformare quegli arresti in occasioni favorevoli alla pubblicità della loro causa, chiamando a essa un numero crescente di intellettuali e cittadini.

Il 28 marzo 1915 Goldman venne arrestata per aver tenuto una conferenza al Sunrise Club di New York sul controllo delle nascite, durante la quale tra le altre cose aveva spiegato l’uso di metodi contraccettivi.
Era la prima volta nella storia degli Stati Uniti.
Fu condannata a 15 giorni di lavoro forzato in carcere o al pagamento di una multa di 100 dollari. Scelse il carcere per protesta.

L’ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale nel 1917, impedì a Goldman di vedere i frutti di quella battaglia, conclusasi anni dopo: dopo una lunga nuova incarcerazione, fu privata della cittadinanza con il suo compagno e costretta a due decenni di sofferte peregrinazioni, durante le quali però non cessò mai di battersi per quel suo ideale radicale di libertà individuale.
Nel 1919, dopo l’impegno di Emma Goldman nella lega anti coscrizione che esortava i giovani a disertare la chiamata alla Prima Guerra Mondiale, fu considerata dal direttore dell’FBI Edgar Hoover “La donna più pericolosa d’America” e venne espulsa dal paese.
Al giudice che lesse la sua sentenza di espulsione, rispose: “considero un onore essere la prima agitatrice politica a essere deportata dagli Stati Uniti”.

Emma Goldman era oggetto delle pericolose attenzioni della polizia a causa della sua instancabile attività come oratrice e conferenziera, chiamata in ogni dove a sostenere scioperi, a informare sul sistema capitalistico, a diffondere i suoi ideali.

È impossibile anche solo dare un’idea della vitalità mostrata da questa rivoluzionaria, entusiasta e affascinante. Tutti i principali centri degli Stati Uniti e del Canada la ebbero veemente oratrice: teatri stracolmi di gente a Boston, a New York, a Montréal, così come ovunque la chiamassero gruppi di lavoratori in lotta.

La polizia le impedì più di una volta di parlare, altre volte irruppe nella sala interrompendo il suo discorso e cercando di disperdere i partecipanti. I padroni dei teatri venivano diffidati dal concedere i locali per le sue conferenze.

Nel 1934 scriveva: Il braccio dell’autorità ha sempre interferito nella mia vita. Se ho continuato da esprimermi liberamente, è stato nonostante tutte le limitazioni e le difficoltà poste sul mio cammino. In questo non sono stata per niente sola.

Il mondo ha dato all’umanità figure eroiche che di fronte alla persecuzione e all’ingiuria hanno vissuto e lottato per il diritto a una libera e illimitata espressione, Emma Goldman fu una di queste.

Passò molti anni da esule nella Russia sovietica, in Germania, Inghilterra, Svezia, Spagna. Nel 1936 fu a Barcellona, nella capitale dell’anarchismo catalano e iberico, in occasione del comizio internazionale anarchico di solidarietà con la rivoluzione spagnola in corso. Accanto ai rivoluzionari e ai lavoratori accorsi da ogni dove, c’era anche lei.

Morì in Canada, dove si era trasferita dopo la vittoria dei fascisti in Spagna, nel 1940.

#unadonnalgiorno

 

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