Samira Sabzian era una donna di trent’anni che quando ne aveva solo 15 anni era stata costretta a sposare un uomo più grande di lei che la picchiava, molestava e che le ha imposto due figli.
Accusata di aver avvelenato il suo carnefice, nel 2013 era stata denunciata dai genitori di lui, i suoi suoceri.
Secondo il codice penale islamico, le persone accusate di omicidio sono tutte condannate a morte, indipendentemente dai motivi e dalle circostanze del crimine. La famiglia della vittima può scegliere se accettare la pena di morte o optare per un risarcimento finanziario e nel suo caso, era stata chiesta l’esecuzione capitale.
Incarcerata per dieci anni senza poter vedere i suoi figli, affidati ai nonni paterni, i suoi accusatori, li ha visti soltanto un’ultima volta, quando la sentenza di morte era stata decretata. È stata impiccata all’alba del 20 dicembre 2023, nel carcere di Qeezel Hesar a Karaj, come riferito da Iran Human Rights. L’esecuzione era prevista per una settimana prima, ma era stata ritardata a causa delle proteste della società civile che aveva tentato in ogni modo a salvarla, ma che non hanno fermato la decisione delle autorità.
Nel solo 2023 in Iran sono state impiccate diciotto donne. Nessuna delle esecuzioni registrate da Iran Human Rights è stata riportata da fonti ufficiali, perché le donne sono disuguali davanti alla legge del paese.
Samira Sabzian è stata vittima della pratica dei matrimoni precoci e forzati, di violenza sessuale e di violenza istituzionale.
È stata uccisa da un regime che si è sostenuto esclusivamente uccidendo e instillando paura, quello di Ali Khamenei. Come Mahsa Amini, uccisa di botte dalla polizia per aver indossato male lo hijab, morta il 16 settembre 2022 e diventata il simbolo della condizione femminile e della violenza esercitata contro le donne sotto l’attuale Repubblica islamica e di tutte le altre donne che stanno perdendo la vita solo per essersi ribellate alla repressione agita sui loro corpi e diritti fondamentali.
“Le leggi iraniane consentono i matrimoni forzati e precoci, dall’età di 13 anni per le bambine. Ma non proteggono le donne dalla violenza domestica e poi le ammazzano quando si ribellano”, ha denunciato Amnesty International Italia.
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