Yvonne Rainer danzatrice, coreografa e regista, tra le principali artiste dell’avanguardia newyorkese, ha segnato la storia della danza postmoderna.
Teorica della danza, è professoressa emerita presso l’Università della California.
Sfidando i codici della modern dance e in particolare la sua dimensione narrativa e psicologica, non ha ricercato la perfezione tecnica o l’espressività ma sperimentato l’oggettiva presenza del corpo, dei suoi gesti e movimenti.
Nata il 24 novembre 1934, a San Francisco, in un ambiente in cui l’arte e la politica erano di casa, dal padre ha imparato a usare la telecamera e la madre le ha trasmesso l’amore per la danza.
Ha studiato recitazione al Theater Arts Colony prima di trasferirsi a New York dove ha studiato con Martha Graham e le più grandi coreografe del tempo.
Parte del movimento giovanile anti-establishment, cercando un’alternativa culturale e artistica, nel 1962 ha partecipato alla fondazione del Judson Dance Theater, il collettivo artistico che ha rappresentato un radicale cambiamento di prospettiva nella pratica coreografica, identificato come l’origine della danza post moderna.
L’intento di liberare la danza dalla sua convenzionalità è stato enunciato teoricamente nel suo No Manifesto del 1964, in cui evidenzia gli attributi non associabili alla sua danza: spettacolarità, intrattenimento e finzione «magica» a cui contrapponeva una visione reale, cinetica e ordinaria del movimento.
Convinta che l’arte è politica nella misura in cui destabilizza e crea tensione, ha proposto un’idea nuova in cui la danza non risponde alla semplice industria culturale che trasforma l’arte in bene di consumo, ai fini dell’intrattenimento.
L’interesse per la politica maturato negli anni ’70 è palesato nell’opera WAR e nella sua partecipazione alla mostra collettiva di protesta tenuta al Judson Flag Show. Nel 1971 ha partecipato con il Grand Union al concerto tenuto in favore delle Pantere Nere.
Dall’anno successivo ha coltivato la sua passione per il cinema, campo in cui è emerso il suo attivismo femminista ponendo una grande attenzione al modo in cui il corpo viene visualizzato o oggettivato dall’obiettivo della fotocamera, senza seguire convenzioni narrative, ma affrontando temi sociali e politici.
Nei suoi film ha mosso critiche pesanti alla società patriarcale, ha parlato di disuguaglianze economiche razziali, di amore omosessuale, ha affrontato l’argomento menopausa e il cancro al seno.
Dopo diversi anni dedicati al lavoro di regista e alla stesura di diversi libri, è tornata alla danza continuando a far sentire la sua voce libera.
Nel 2000, da coreografa ha creato After Many a Summer Dies the Swan per il White Oak Dance Project di Mikhail Baryshnikov, continuando a mietere successi, nonostante l’età avanzata.
Nel corso della sua carriera ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui due Guggenheim Fellowships (1969 e 1988), Genius Grant (1990), Wexner Prize (1995) e Merce Cunningham Award (2015).
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