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Amanda Palmer e l’arte di chiedere

Amanda Palmer l’arte di chiedere

Amanda Palmer conosciuta anche come Amanda Fucking Palmer (New York, 30 aprile 1976) è una cantante, pianista e compositrice statunitense, divenuta famosa nel duo The Dresden Dolls, fondato assieme a Brian Viglione.

Amanda Palmer ha imparato l’arte di chiedere facendo la statua vivente a Cambridge. Stava in piedi su una cassetta in Harvard Square, vestita da sposa, il viso dipinto di bianco, un fiore in mano. Portava a casa anche 90 dollari al giorno. La chiama The Art of Asking, ci ha scritto un libro, l’ha trasformata in un lavoro.

I finanziamenti dei fan, in 15 anni d’attività inaugurata con il duo dei Dresden Dolls, le hanno permesso di fare la musica che vuole, con chi vuole, quando vuole. L’artista è nota anche per la sua frenetica attività in internet tramite blog, forum, social network, piattaforme di condivisione gratuita di musica, di raccolta fondi e marketing diretto artista-fan.

Quello di Amanda Palmer è diventato un caso di studio quando la cantante ha raccolto un milione e 200mila dollari su Kickstarter.

Amanda Palmer è convinta che mettersi a nudo, non solo metaforicamente, rafforzi comunicazione e fiducia fra gli individui come nessun’altra cosa al mondo.

Per incidere il nuovo album da solista There Will Be No Intermission, quasi 15mila mecenati le versano ogni mese una cifra che va da uno a mille dollari.

Scandaglia dolorose esperienze personali trattando argomenti come l’aborto, la morte per cancro di un amico, il suicidio di un ex, il potere degli oggetti, la violenza, il sentirsi diversi, l’ambivalenza che si può provare durante la maternità.

Nelle sue canzoni vuole trasmettere speranza, essere utile.

Il problema, specie per noi donne, è che ci viene detto di cosa dovremmo gioire e di cosa dovremmo rattristarci, invece ognuna di noi è unica e ha il diritto di esserlo. Parlare di aborto è una libertà che mi sono concessa, perché nessuno racconta mai quel che ti succede dentro quando abortisci, e il motivo è che ci hanno educate a credere che l’aborto sia qualcosa di cui vergognarci. Chi è che scrive canzoni sull’aborto? Io l’ho fatto con Voicemail for Jill: non ho più paura di nessuno.

Il controllo sul proprio corpo è un diritto inalienabile della donna. La storia insegna che ogni ascesa di un potere di stampo fascista è sempre associata alla volontà politica di togliere diritti alle donne rispetto alle loro facoltà riproduttive, ma per quanto mi riguarda non esiste alcuna ragione per cui una donna non possa scegliere se portare in grembo un bambino, metterlo al mondo e prendersi cura di lui, o non farlo. Essere madri è una responsabilità enorme, non è un gioco.

C’è carenza di canzoni che raccontassero le esperienze da un punto di vista femminile. Di fatto ci è mancata non solo un’educazione, ma anche e soprattutto una cultura che parlasse davvero a noi donne di noi donne, basata sulla condivisione di storie in cui potessimo identificarci nel profondo. Perché è questo il potere dell’arte, l’arte offre la possibilità di riconoscersi nelle storie di qualcun altro.

#unadonnalgiorno

 

 

 

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