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Ruby Hamad

Ruby Hamad

Ruby Hamad femminista, accademica e giornalista, racconta forme insidiose di discriminazione e altre manifestazioni quotidiane di razzismo interiorizzato.

È l’autrice di How White Women use Strategic Tears to Silence Women of Colour, nato dall’omonimo articolo del 2018, pubblicato per The Guardian Australia, che in italiano è stato tradotto col titolo Lacrime bianche / ferite scure. Femminismo e supremazia bianca. Un punto di riferimento globale per le discussioni su femminismo bianco e razzismo.

Nata in Libano e cresciuta a Sidney, in Australia, ha studiato sceneggiatura e regia cinematografica al Victorian College of the Arts, si è laureata in economia politica presso l’Università di Sydney e conseguito un master in giornalismo e pratica dei media presso l’Università di Sydney. Insegna storia e scienze sociali presso l’Università di Western Sydney.

Ha scritto articoli su diverse importanti riviste internazionali e tenuto il discorso di apertura della Giornata internazionale della donna 2017 e Feminist Intersection – In Conversation (con Celeste Liddle) per il Queen Victoria Women’s Centre, e l’hosting di panel al Melbourne Writers Festival e al Newcastle Writers Festival.

Redattrice per la pubblicazione femminista progressista The Scavenger, ha prodotto una serie di saggi sul significato culturale e politico del cibo e creato una serie su persone affette da disturbi mentali che indaga il mito che ha contribuito a plasmare l’opinione pubblica sullo stigma della malattia mentale.

Il suo primo libro, How White Women use Strategic Tears to Silence Women of Colour,  definito “Miglior libro del 2020” da Cosmopolitan, Harper’s Bazaar, Kirkus Reviews e Publishers Weekly, è una condanna bruciante e ad ampio raggio della ‘femminilità bianca strategica’ e della ‘svalutazione storica delle donne di colore’ nella cultura occidentale. 

Attraverso testimonianze, un’accurata ricostruzione storica, la sua esperienza personale e il ricorso alla cultura pop del cinema e delle serie TV, ha scritto un aperto atto di accusa al femminismo bianco liberale incolpato di non voler fare i conti con il proprio passato coloniale in cui le donne hanno esercitato – seppur da subalterne rispetto agli uomini – un potere e un ruolo fondamentale nel fissare gli standard dell’umanità nel suo complesso, incarnati nell’uomo bianco, ma anche nelle donne bianche. Non guardare alla storia, significa continuare a esercitare e perpetuare quel potere e pensare al razzismo solo come a un comportamento individuale e non come a un elemento fondamentale della costruzione binaria della identità femminile in cui alle donne bianche è stata riservata la parte di “damigella in pericolo” mentre alle nere la parte selvaggia e in definitiva subumana.

Dalla schiavitù al linciaggio e all’allontanamento forzato di bambini indigeni, le donne bianche sono state complici degli uomini bianchi nel razzismo e nella violenza, con il pretesto di proteggere la femminilità bianca. L’autrice esamina come questa eredità di secoli di violenza razziale e colonialismo da parte dei bianchi si manifesti ancora oggi nella vita di donne nere, asiatiche, latine, indiane, musulmane, arabe e indigene di tutto il mondo.

C’è da specificare che quando parla di “donne bianche” e di “donne nere” i termini non sono descrittivi ma politici. Non differenzia per colore della pelle ma si riferisce a coloro che beneficiano della bianchezza intesa come privilegio razziale. Quando parla di nero o marrone intende coloro che ne sono escluse in vari gradi secondo un confine in continuo movimento e di volta in volta rideterminato dalla colonialità globale in cui la razza (intesa come imposizione sociale) è il criterio fondamentale per la distribuzione della popolazione mondiale secondo ranghi, luoghi e ruoli nella struttura sociale e del potere.

#unadonnalgiorno

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