Maria Mies, scrittrice e attivista, è stata tra le prime pensatrici e interlocutrici dell’Ecofemminismo.
Ha svolto ricerche sulla condizione femminile in India e si è concentrata sull’intersezione tra capitalismo, patriarcato e colonialismo. È stata pioniera nell’analizzare le somiglianze tra la posizione delle donne e quella dei popoli colonizzati nelle gerarchie socio-economiche.
Al centro del suo pensiero c’è la convinzione che il movimento femminista non può ritenersi separato dalle differenze di classe, né dalla divisione internazionale determinata da imperialismo e sfruttamento del lavoro. Di conseguenza, è l’intero sistema patriarcale capitalista, nemico della vita, che deve essere combattuto.
Ha dimostrato come le lotte femministe si intrecciano con quelle per la giustizia sociale e ambientale.
Per i suoi contributi, ha ricevuto numerosi premi, tra cui l’Ordine al merito della Repubblica Federale di Germania nel 2001.
Nata a Hillesheim, in Germania, il 6 febbraio 1931, Maria Meis è cresciuta in una famiglia di contadini in un villaggio nella regione di Vulkaneifel.
È stata la prima studentessa del suo villaggio a completare la scuola secondaria. Ha studiato filosofia, teologia e letteratura inglese all’Università di Münster e conseguito un dottorato di ricerca in scienze sociali all’Università di Francoforte.
Dagli anni ’60 è stata attiva nei movimenti sociali, compresi i movimenti anti-nucleare e anti-globalizzazione.
Nel 1963 è diventata docente presso il Goethe Institute di Pune, in India, dove ha intrapreso una ricerca empirica sui dilemmi e i conflitti delle donne moderne della classe media per completare il suo dottorato, successivamente pubblicata con il titolo Indian Women and Patriarchy nel 1980.
Dopo aver vissuto e lavorato per cinque anni in India, ha potuto constatare che il lavoro delle donne è il fondamento dell’economia del paese.
Tornata in Germania, nel 1968, constatando di quanto le tematiche di genere fossero poco considerate, anche dalla sinistra, è diventata una delle fondatrici della seconda ondata del movimento delle donne, che ha iniziato una rilettura della storia da una prospettiva femminista. “Se non sappiamo come le cose sono diventate quello che sono, non possiamo sapere come cambiarle”.
Nel 1979, ha istituito il programma Women and Development presso l’Istituto di Studi Sociali dell’Aia, dove ha creato un master in netta critica a tutte le posizioni e narrazioni eurocentriche, raccontando e riflettendo sulle condizioni di donne, natura e lavoratori, soprattutto del Sud del mondo.
È stata docente di Sociologia presso la University of Applied Sciences di Colonia fino al 1993. Insieme alle sue studentesse ha svolto una ricerca sulla violenza contro le donne che ha portato all’apertura del primo centro antiviolenza in città.
Il suo libro Ecofeminism scritto nel 1993 con Vandana Shiva, ha avuto un impatto internazionale ed è stato tradotto in diverse lingue, tra cui spagnolo e turco. L’ecofemminismo è un modo di vedere il mondo che riconosce gli esseri umani come parte della Natura, non come qualcosa di separato. Nella loro interconnessione attraverso la vita, la natura e le donne sono vive e autonome, non oggetti morti e passivi, inermi di fronte allo sfruttamento e alle violazioni del potere maschile. La creatività e la produttività della natura e delle donne sono alla base di tutti i sistemi cognitivi ed economici, nonostante siano invisibili agli occhi del patriarcato capitalista.
Negli anni, il suo lavoro di ecofemminista si è evoluto grazie al suo contributo al movimento FINRAGE (Rete Femminista Internazionale di Resistenza all’Ingegneria Genetica e Riproduttiva) e alla sua analisi dell’economia di sussistenza come luogo in cui l’economia della natura e quella delle donne si incontrano per fornire sostentamento a tutti e tutte.
In The Subsistence Perspective, nel 1999, scritto in collaborazione con Veronika Bennholdt-Thomses, propone una forma di economia morale in grado di riportare al centro il valore della vita, della sopravvivenza, della materialità e della necessità. Proponendo esempi di modelli economici sostenibili e solidali, alternativi rispetto al paradigma dominante, vi emerge l’urgenza di estendere un piano di valori e azioni già esistente nel Sud del mondo, volti a ridefinire e restituire il senso della comunità in rapporto alla natura e alle sue risorse.
La prospettiva della sussistenza è una cultura del limite e della cooperazione, dei beni comuni e della loro cura, contro le politiche estrattive e disgreganti del neoliberalismo.
Il lavoro di Maria Mies ha messo in luce come il sistema capitalistico globalizzato esista a condizione di perpetuare e intensificare le pratiche di sfruttamento che interessano esseri umani e ambiente.
I suoi testi Patriarcato e capitalismo e Donne, l’ultima colonia, sono stati di grande ispirazione per Abdullah Öcalan, che li ha letti durante i primi anni della sua prigionia, periodo in cui stava sviluppando la sua teoria del confederalismo democratico.
In Patriarcato e capitalismo analizza la modalità di appropriazione predatoria che ha avuto origine nel monopolio maschile sui mezzi di produzione, ovvero il controllo sui corpi delle donne e sulle loro capacità produttive e riproduttive.
Questa prospettiva si trova anche nel lavoro di Öcalan che ha sottolineato la relazione inestricabile tra la liberazione di genere e la rivoluzione ecologica e in questo modo ha dato forza a milioni di persone con il suo concetto di comunalismo, che rifiuta che le vite siano controllate dallo stato.
Il Movimento delle donne curde ha avviato un dialogo con Maria Mies all’inizio del 2000, e Jineoloji, tradotto come “scienza della donna” è diventata parte integrante della rivoluzione del Rojava. Al centro di questa scienza si trova l’analisi della società, della storia, della religione, dell’epistemologia e di molte altre aree, tutte riattraversate dal punto di vista femminile. Non si limita all’istruzione accademica, ma vengono creati centri con finalità diverse, vengono offerti seminari sostenendo attivamente la liberazione delle donne a tutti i livelli. Una possibile risposta alla richiesta di un diverso paradigma economico e culturale di Maria Mies che ha accolto con entusiasmo la costruzione del villaggio femminile Jinwar in Rojava.
Ha auspicato il ritorno a un’economia che miri a soddisfare i bisogni delle persone, il benessere della natura tutta, e soprattutto non orientata al profitto, ha introdotto, per prima, il termine una “buona vita”.
Ha spiegato che il rapporto tra donne e uomini è di carattere coloniale, proprio come il rapporto tra piccoli agricoltori e metropoli è in ogni caso colonialista.
Nella sua autobiografia, The village and the world, ha scritto: “In un sistema di sfruttamento coloniale, uguaglianza può significare solo elevarsi al ruolo dei vincitori, che appartengono a coloro che traggono profitto dal sistema. Uguaglianza non significa diventare uguali ai poveri agricoltori che vivono in una economia di sussistenza. La sussistenza come prospettiva significa abolizione di tutte le relazioni di stampo coloniale”.
Ha lasciato la terra il 15 maggio 2023, all’età di 92 anni.
La sua prospettiva internazionalista, la sua confutazione e il rifiuto del pensiero dualistico, la sua critica radicale al “femminismo della classe media” mostra come dal centro del patriarcato capitalista, possiamo trovare una via da seguire e connetterci con le alternative rivoluzionarie in tutto il mondo.
Ci ha mostrato che il patriarcato capitalista è un’economia estrattiva che sottrae il valore che le donne producono mentre crea l’illusione che il capitale sia la forza creativa che genera ricchezza, ha sostenuto Vandana Shiva in un articolo dopo la sua morte.
#unadonnalgiorno