Per essere potente, una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto.
Sabine Weiss, fotografa svizzera naturalizzata francese, ha immortalato la vita parigina, rendendola eterna. Unica donna e ultima rappresentante del movimento fotografico umanista francese, ha potuto esercitare la sua professione a lungo e in tanti differenti campi.
Nata col nome di Sabine Weber, a Saint-Gingolph, in Svizzera, il 23 luglio 1924, suo padre era un ingegnere chimico che produceva perle artificiali da squame di pesce.
Era una bambina quando ha iniziato a fissare la vita con una macchina fotografica in bachelite acquistata con la sua paghetta, stampando a contatto sul davanzale della finestra.
Sostenuta dalla famiglia nella sua scelta, a soli diciassette anni è andata via di casa per apprendere le tecniche fotografiche a Ginevra, presso i Boissonnas, nota famiglia di fotografi.
Nel 1945 ha conseguito la qualifica svizzera in fotografia e l’anno successivo si è trasferita a Parigi.
A 21 anni ha pubblicato il suo primo reportage, durante uno dei suoi tanti viaggi ha conosciuto Hugh Weiss, importante pittore statunitense poi diventato suo marito, da cui ha preso il cognome.
Come assistente del tedesco Willy Maywald ebbe modo di entrare in contatto con le personalità parigine più importanti della sua epoca, ha partecipato all’inaugurazione della Maison Dior e alla presentazione della prima collezione.
A 28 anni ha esposto nella collettiva Fotografia europea del dopoguerra al MoMA. Nel 1954, l’Art Institute of Chicago le ha dedicato una mostra personale che fece un lungo tour negli Stati Uniti.
Ha ritratto i grandi nomi della musica, letteratura, arte, moda e cinema, collaborato con le più importanti riviste e quotidiani e viaggiato in tutto il mondo.
A partire dal 1950, Sabine Weiss è stata rappresentata dall’agenzia Rapho, la principale agenzia di stampa francese che gestiva il lavoro di Robert Doisneau.
Parallelamente al lavoro svolto per i giornali, si è dedicata particolarmente alla fotografia di strada, amava ritrarre i bambini che giocavano e la vita quotidiana, rappresentazione della filosofia alla base della fotografia umanista.
Nel 1983, ha ottenuto una borsa di studio dal Ministero francese degli affari culturali per condurre uno studio sui Copti d’Egitto e, successivamente, nel 1992, un’altra per documentare Réunion.
Ha pubblicato circa 40 libri, tra cui 100 foto di Sabine Weiss per la libertà di stampa di Reporter senza frontiere.
Nel 2017, Sabine Weiss ha donato il suo intero archivio, che conteneva 200.000 negativi, 7.000 provini a contatto, circa 2.700 stampe d’epoca e 2.000 stampe in ritardo, 3.500 stampe e 2.000 diapositive al Musée de l’Elysée di Losanna.
Portava al collo sempre due apparecchi, uno con la pellicola a colori e l’altro con quella in bianco e nero. La produzione a colori era riservata soprattutto alla pubblicità e ai servizi per le riviste di viaggi e moda (dal 1952 al ‘61 ha collaborato con Vogue), al bianco e nero, con le possibili declinazioni di grigio, affidava il suo racconto.
Forte personalità, era una delle rare donne del suo ambiente, la fotografia è stata la sua una vocazione.
Nel 2020 ha vinto il premio Women in Motion ai Rencontres d’Arles.
Dirigeva istintivamente il suo obiettivo su corpi e gesti, immortalando emozioni e sentimenti, attenta a cogliere il quotidiano, era interessata alla gente tutta.
Si è spenta a Parigi il 28 dicembre 2021.
La poesia dell’istante, la prima importante retrospettiva italiana dedicata a questa grande fotografa, contenente oltre duecento immagini, è stata inaugurata a Venezia l’11 marzo 2022.