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Mahalia Jackson

Mahalia Jackson

Non riesco a capire perché quando sono sul palco o in uno studio televisivo e sto lavorando con dei bianchi, tutti non fanno che abbracciarmi e dirmi che sono fantastica, eccetera. Quando poi cammino per la strada come una persona qualunque, nessuno mi riconosce. E giù al Sud, quando entro in un grande magazzino, non posso nemmeno comprare un sandwich e una bibita gassata. O a chiamare un taxi. Eppure sono sempre la stessa Mahalia Jackson che tutti quanti continuano a definire meravigliosa e fantastica. Perché c’è chi si comporta in questo modo? Non capisco. Insomma, la mia gente merita rispetto. Sentire un bianco che dice «figliolo» al tuo compagno, a tuo marito o a tuo fratello fa veramente schifo. È una mancanza di rispetto. Tutti siamo esseri umani. Trattare gli altri in questa maniera è segno della più bieca ignoranza.

Mahalia Jackson, la Regina del Gospel, è stata una delle più grandi protagoniste della musica del ventesimo secolo.

Ha vinto tre Grammy Awards e alcuni suoi brani sono stati inseriti nella Grammy Hall of Fame.

Dotata di una voce dallo stile inconfondibile e dal forte impatto emotivo, aveva un timbro possente e una grande estensione oltre a notevoli capacità interpretative che riuscivano a commuovere chi la ascoltava. 

Ha incarnato il gospel moderno come espressione di un puro slancio liberatorio, di una schietta, incontaminata devozione al divino combinata a una letizia tutta terrena e palpabile. 

Il suo contralto di straordinaria vastità, tonante di elegante irruenza, insieme sacrale e sanguigno, ha riassunto tensioni e emozioni, fantasia, dolore e speranze dell’esperienza afro-americana del Novecento. Echeggiava i blues di Bessie Smith ma anche il primo jazz di Storyville, pulsava dei ritmi danzanti della second line delle parate di New Orleans, disegnando le più assorte e ariose melodie degli inni tradizionali. Era a suo agio accompagnata dal piano scabro e percussivo di un’umile chiesa pentecostale, come nella policroma coralità orchestrale di Duke Ellington.

Iconica attivista del movimento per i diritti civili, si è esibita alla Marcia su Washington il 28 agosto 1963. 

Nacque col nome di Mahala Jackson il 26 ottobre 1911, a New Orleans, in una famiglia povera e molto devota, che viveva in una baracca. Aveva solo cinque anni quando venne affidata alle cure di una zia perché sua madre, Charity Clark, era morta.

Già a quattro anni cantava nel coro giovanile della chiesa del padre, John Jackson scaricatore di porto, barbiere e pastore Battista.

Arrivata a Chicago da adolescente, sull’onda del portentoso flusso migratorio dal Meridione al Nord industriale, il suo talento ha preso forma e la sua arte ha acquistato gradualmente risonanza e prestigio. Nella metropoli, definita il Vaticano del gospel, la sua voce imponente e dinamica, ha contribuito a illustrare, per le congregazioni battiste degli anni Trenta, l’innovativo e ispirato repertorio del suo mentore Thomas A. Dorsey, grande pianista e compositore che veniva  dal blues, e a gettare le basi per l’affermazione del gospel moderno e della nuova vocalità religiosa afro-statunitense.

Dopo aver svolto tanti lavori e cantato in vari cori religiosi, il suo primo brano da solista, Oh My Lord, è uscito nel 1937. 

Il disco che l’ha fatta conoscere al grande pubblico,  Move On Up A Little Higher, inciso nel 1947 per l’Apollo Records, è stato il singolo di gospel più venduto della storia. Sull’onda di questo strepitoso successo ha iniziato a entrare nei più celebri studi televisivi e fatto tour in giro per il mondo.

Nel 1954 ha anche condotto un programma evangelico sulla CBS TV.

In seguito alla sua memorabile esibizione al Newport Jazz Festival è stato tratto Mahalia Jackson: Live at Newport – Columbia 1958 il suo album di maggior successo commerciale.

Negli anni sessanta è stata in prima linea nel movimento per i diritti civili dei neri d’America. Alla marcia su Washington, si è esibita con I’ve Been ‘Buked and I’ve Been Scorned, davanti a 250.000 persone. Cinque anni dopo, ai funerali di Martin Luther King, ha cantato Take My Hand, Precious Lord e scoraggiata, ha abbandonato l’impegno attivo nel movimento.

Dopo essere stata più volte ricoverata per diversi problemi di salute, ha tenuto il suo ultimo concerto nel 1971 a Monaco, in Germania. È morta di infarto il 27 gennaio 1972 a Chicago.

Al suo servizio funebre, davanti a 50.000 persone, Aretha Franklin  le ha dedicato Take My Hand, Precious Lord.

Nel 1993, la città di New Orleans le ha intitolato il teatro situato all’interno del Louis Armstrong Park, ribattezzato “Mahalia Jackson Theater for the Performing Arts”.

 

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