Aline Sitoé Diatta, anche detta Giovanna D’Arco d’Africa, è stata l’eroina della resistenza in Casamance, regione meridionale del Senegal.
Nacque all’incirca nel 1920, alla morte di suo padre, venne adottata dallo zio. Ancora molto giovane lasciò il villaggio natale per andare a Dakar, dove, assunta come domestica da un colono francese, venne iniziata a un culto della pioggia chiamato Kassarah, del quale divenne sacerdotessa.
Fu una donna che non chinava la testa e interveniva contro le ingiustizie.
Incoraggiava i connazionali alla disobbedienza, a non pagare le imposte, a coltivare il riso invece di accettare il lavoro forzato nelle piantagioni di arachidi (prodotto introdotto dai francesi per far fruttare le esportazioni) e a rifiutare l’arruolamento nell’esercito straniero.
Spinse il suo popolo alla resistenza e al rifiuto della cultura dei colonizzatori, per ritornare alle fonti della cultura autoctona. Era contraria anche alla cristianizzazione dei Diola (religione introdotta dai colonizzatori europei).
È stata la prima donna senegalese a pronunciarsi apertamente per l’uguaglianza di tutti gli uomini e le donne, indipendentemente da razza, età, religione e opinioni professate.
Si narra che facesse miracoli, come far piovere nei periodi di siccità, guarire i malati con l’imposizione delle mani. La sua fama non tardò a spandersi per tutta la regione e tante persone andavano in pellegrinaggio a conoscerla. Divenne, successivamente, regina della Casamance.
La sua celebrità travalicava il paese, veniva anche chiamata la signora di Kabrousse.
I colonizzatori si resero presto conto del pericolo che poteva rappresentare e cominciarono a perseguitarla.
Nonostante predicasse la resistenza passiva, venne incarcerata con l’accusa d’incitamento alla ribellione e rifiuto dell’ordine stabilito.
Quando, nel gennaio 1943, i soldati francesi arrivarono per catturarla, era in pieno periodo mestruale. Per i Diola, si tratta d’un periodo impuro e la donna deve lasciare il proprio alloggio per andare a dormire in un apposito luogo riservato alla circostanza. I soldati, non trovandola, cominciarono a sparare sulla gente e catturarono un’altra donna al suo posto. La regina allora si consegnò, per evitare che avvenisse una strage d’innocenti, si fece arrestare e venne condannata a dieci anni di carcere passando da una prigione all’altra, tra Senegal, Gambia e Mali.
È morta il 22 maggio 1944 a Tombouctou, a causa di stenti e torture. Si era ammalata di scorbuto e aveva rifiutato ogni cura.
Ancor oggi, il popolo Diola (minoranza etnica e religiosa) insorge periodicamente contro il governo centrale senegalese e contro i coltivatori di arachidi (non più francesi, ma mandinghi musulmani), inalberando il vessillo della regina ribelle.
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