Doria Shafik è stata una delle principali leader del movimento di liberazione delle donne in Egitto a metà degli anni ’40 del secolo scorso.
Coraggiosa e determinatissima pioniera femminista, si è battuta per tutta la vita per il diritto di voto. Nella sua lunga carriera è stata insegnante, ispettrice scolastica per conto del Ministero dell’Istruzione, scrittrice e giornalista.
Nata a Tanta il 14 dicembre 1908, è stata diventata una delle prime ragazze egiziane a conseguire il diploma di maturità scientifica. Vinse una borsa di studio del Ministero dell’Educazione per studiare alla Sorbonne di Parigi, dove conseguì un dottorato di ricerca in filosofia col massimo dei voti.
Scrisse due tesi, una che confutava i fini utilitaristici generalmente associati all’arte dell’antico Egitto e la seconda, in cui discuteva sulla parità di diritti riconosciuta alle donne.
Mentre viveva in Francia, nel 1937, sposò Nureldin Ragai, dottorando in giurisprudenza, che sarebbe diventato un importante avvocato in Egitto, da cui ebbe una figlia e con cui visse per 31 anni.
Al suo ritorno in Egitto, nel 1940, le venne negata la possibilità di insegnare all’Università del Cairo, perché considerata “troppo liberale”.
Nel 1945, la principessa Chevicar, la prima moglie del re Fuad I, le offrì la posizione di caporedattrice nella rivista La Femme Nouvelle, di cui, dopo poco, divenne direttrice responsabile.
Fondò la rivista Bint Al Nil (Figlia del Nilo), destinata a educare le donne egiziane, donare loro consapevolezza e aiutarle a migliorare il loro ruolo nella famiglia e nella società. Il primo numero uscì nel novembre 1945 e andò subito esaurito.
Creò poi L’unione delle Figlie del Nilo, per garantire alle donne l’inclusione nelle politiche del paese. Istituì centri per l’alfabetizzazione femminile, un ufficio per l’impiego e una mensa per le donne che lavoravano.
Nel febbraio 1951, riuscì a riunire segretamente 1500 donne dei due principali gruppi femministi egiziani (Bint Al Nil e l’Unione femminista egiziana) e organizzare una marcia sul parlamento interrompendone le funzioni rivolgendo una serie di richieste che recriminavano diritti sociali e economici.
Mandata a processo, venne difesa da Mufidah Abdul Rahman, la prima avvocata egiziana. Il caso fu rinviato a giudizio e l’udienza aggiornata a tempo indeterminato a causa del grande clamore e le tante proteste che seguirono.
Ma, nonostante le promesse del Presidente del Senato, i diritti delle donne non subirono miglioramenti.
Fu così che, l’inarrestabile attivista, creò una una sorta di braccio paramilitare che sostenne i disordini e gli scioperi a cui gli inglesi reagirono fino a occupare Il Cairo e assaltare la sede della polizia egiziana. Doria Shafik fece della lotta all’occupante straniero il suo “cavallo di battaglia” insieme alla richiesta dell’emancipazione femminile, che avrebbe dovuto seguire di pari passo quella della nazione.
La rivolta degli Ufficiali Liberi nel 1952, pose fine alla monarchia, re Faruk venne esiliato, i partiti politici furono messi al bando dei partiti politici e ci fu il tentato omicidio di Nasser a opera di un membro dei Fratelli Musulmani.
Seguì l’invasione britannica dell’Egitto, coadiuvata dall’esercito israeliano e da quello francese e della promulgazione della nuova Costituzione. Doria Shafik, insoddisfatta della composizione, tutta maschile, dell’assemblea costituente che doveva lavorare alla stesura della Carta costituzionale, iniziò uno sciopero della fame nel 1954 presso il sindacato della stampa. Ottenne così una dichiarazione scritta dal presidente Naguib che prometteva di impegnarsi affinché la costituzione rispettasse i diritti delle donne.
La notizia del suo gesto, che ebbe ampia risonanza mediatica, fece il giro del mondo e venne invitata a tenere conferenze in Europa, Asia e Stati Uniti.
Come risultato del suo tenace attivismo, le donne ottennero il diritto di voto ai sensi della costituzione del 1956, a condizione, tuttavia, che fossero alfabetizzate, requisito che non valeva per gli uomini.
Indignata, annunciò un altro sciopero della fame e si rifugiò nell’ambasciata indiana.
Fu l’inizio della fine per lei: le altre attiviste le imposero di dimettersi, la denunciarono come traditrice e Nasser ne approfittò per farle chiudere l’associazione, il giornale e metterla agli arresti domiciliari.
Doria Shafik si era inimicata il regime con il suo atteggiamento sprezzante che mostrava tutto il suo rancore verso Nasser, molto amato dal popolo. La denuncia per tradimento, così come l’imposizione di dimettersi, era dettata dalla paura di una donna audace, che rischiava di creare problemi e sovvertire un sistema molto potente.
Fu una femminista entusiasta e coraggiosa, una scrittrice dal pensiero profondo e un’audace intellettuale. Non aveva un’indole portata per la politica e, probabilmente, questa lacuna non le permise di valutare i pericoli e aggirare gli ostacoli.
Condusse gli ultimi anni della sua vita emarginata e in preda a una forte depressione. È morta dopo essere caduta dal balcone il 20 settembre 1975.
Oltre alle riviste, ha scritto un romanzo, L’Esclave de Sultane, diversi volumi di poesie e la sua autobiografia, tradotta in molte lingue.
Il 14 dicembre 2016 Google le ha dedicato un Doodle per il 108° anniversario della sua nascita.
Soltanto nel 2018, il New York Times ha pubblicato un necrologio tardivo in suo onore.
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