Kara Walker è un’artista afroamericana che, da oltre venti anni, esplora con un personalissimo linguaggio visivo, questioni sociali, di genere, storia dello schiavismo e discriminazione razziale.
Nel 2007 è comparsa nella lista delle cento persone più influenti dell’anno per la rivista Time.
Nata in una California multiculturale il 26 novembre 1969, quando aveva 13 anni si trasferì con la famiglia a Atlanta dove si è presto scontrata con un ambiente chiuso e razzista. Questa esperienza ha segnato la sua produzione artistica volta a denunciare ingiustizie attraverso silhouette nere, sculture e dipinti intrisi di violenza, sadismo e ironia.
Nel 1994 ha realizzato la sua prima opera Gone: An Historical Romance of a Civil War as It Haccurred Between the Dusky Thighs of One Young Negress and Her Heart (Romanzo storico di una guerra civile avvenuta tra le cosce scure di una giovane nera e il suo cuore) al Drawing Center di New York in cui ripropose la sagoma di un soldato della secessione e di una donna che stanno per baciarsi, una coppia come quella di Via col vento, mentre nella scena si dipanavano efferatezze e sesso, con espliciti riferimenti alle raffigurazioni degli schiavi africani nella società dell’epoca, con torture, linciaggi e stupri.
L’opera ha imposto Kara Walker sulla scena internazionale dando il via a una pratica che l’artista declina in differenti accezioni e discipline.
Nel 1997, a soli 28 anni, ha ricevuto la prestigiosa borsa di studio Mac Arthur, chiamata anche “Genius Grant”, destinata a giovani geni che portano innovazione nel campo delle arti.
Nel 2007 è stata tra gli artisti del Padiglione centrale della 52° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.
La sua produzione è contraddistinta dall’uso di sagome nere direttamente applicate sul muro bianco, profili ritagliati direttamente dalla carta o dal linoleum, che delineano figure a grandezza naturale tratte solitamente dalla storia americana, la narrativa colonialista e i suoi cliché.
Le sue trasposizioni attingono da un ampio repertorio storico-culturale agendo su più piani: in un mondo da incubo, si rivela la brutalità del razzismo e della disuguaglianza resi con una violenza gretta ma dai movimenti festosi così sgradevoli da implicare una riflessione mista a fastidio e senso di colpa.
Spesso la protagonista è l’iconografia della Mami del film Via col Vento, foulard annodato sulla fronte, seno e fondoschiena grossi, facilmente identificabile e sempre oggetto di abusi e sfruttamento.
Usando questo archetipo ha realizzato, nel 2014, Marvelous Sugar Baby una gigantesca scultura di una donna nera dai tratti caricaturali in sembianze di Sfinge ricoperta di zucchero bianco e circondata da statue di bambini color melassa fatti di zucchero sciolto e resina. In mostra presso la raffineria Domino Sugar abbandonata a Brooklyn in occasione della sua demolizione, era un chiaro riferimento alla raccolta dello zucchero, alla sua lavorazione e alla realtà umiliante e disperata di schiavi e schiave delle piantagioni.
Nel 2015 ha firmato scene, costumi e regia della Norma di Vincenzo Bellini al Teatro La Fenice di Venezia, per la Biennale, ambientando la storia in Africa, in un immaginario che gioca con le rappresentazioni dei luoghi comuni e denuncia pregiudizi, disuguaglianze e maltrattamenti.
Tra il 2019 e il 2020 ha realizzato Fons Americanus, opera commissionata dalla Tate Modern per la Turbine Hall. La fontana, alta 13 metri, era ispirata al Victoria Memorial di Londra, monumento in cui figure allegoriche circondano un piedistallo sulla cui sommità c’è la protagonista. La scultura, fatta di sughero, metallo, legno e jesmonite, progettata per essere riciclabile, seguendo lo schema trionfalistico, culmina con una figura femminile dal cui seno e dalla gola tagliata zampilla l’acqua che scorre nella parte inferiore dove appaiono elementi che fanno riferimento alle storie dell’Africa, dell’America e dell’Europa, in particolare relative alla tratta atlantica degli schiavi.
Nel 2020, a rappresentare il Padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia, si è scelta un’altra artista, forse più rassicurante.
Le sue opere sono state spesso oggetto di polemiche: al Detroit Institute of Art una sua opera fu rimossa per poi essere esposta di nuovo; nella Newark Public Library, The moral arc of history ideally bends towards justice but just as soon as not curves back around toward barbarism, sadism, and unrestrained chaos fu coperta perché non ritenuta idonea al luogo e non sono pochi coloro che accusano l’arte di Kara Walker di istigare alla violenza.
Nonostante le sue opere siano “scomode”, le sue quotazioni sono da record come per Four Idioms on Negro Art #4 Primitivism (2015) che, nel 2019, ha raggiunto 445.842 euro da Christie’s.
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Testo di Graziella Melani Geraci