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Clelia Marchi. Gnanca na busia

Clelia Marchi, la vita scritta su un lenzuolo

Per contenere tutto, i sacrifici e la fatica e il dolore ci vorrebbe un lenzuolo largo, lungo come il mare. Le lenzuola non le posso più consumare col marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere.

A Pieve Santo Stefano c’è un archivio pubblico in cui sono conservati più di 8 mila diari, quaderni di memorie e lettere.

Nell’ultima stanza del museo c’è un grande lenzuolo matrimoniale, appeso dentro una teca. Una specie di sindone scritta fitta fitta, con le righe numerate.

In alto al centro c’è un’immagine sacra, ai lati due fotografie, e un titolo: “Gnanca na busia” (“Nemmeno una bugia”).

Quel lenzuolo contiene una vita intera, quella di Clelia Marchi.

Nata nel 1912 e morta nel 2006, dopo aver perso quattro figli su otto, aver vissuto due guerre mondiali, la miseria e poi la perdita dell’amato marito Anteo.

Nelle sue notti di dolore, Clelia Marchi cominciò a fare una cosa che aveva fatto da sempre, cucire, e un’altra che non aveva fatto mai, scrivere.

Rammendò in quel lavoro quotidiano la sua vita di prima e quella nuova, segnata dall’assenza dell’amore.

Cominciò così a raccogliere fogli, foglietti e cartoncini, a cucirli per farne dei quaderni e a ricamarli.

E scriveva, di sé, del paese, incollava fotografie e ritagli di giornale.

Scriveva nello stesso modo in cui si piange, di continuo, senza freno.

A peso: chili e chili di quaderni decorati e rilegati all’uncinetto con lane colorate.

Una notte, rimase senza carta. Aprì l’armadio, prese un lenzuolo del corredo, si posò un cuscino sulle gambe, ci stese sopra il lenzuolo e ricominciò a comporre sulla tela, un po’ in prosa, un po’ in poesia, un po’ in dialetto e in un italiano che si scrive così come le parole si dicono.

Ci mise due anni, a finirlo.

Il lenzuolo di Clelia è stato pubblicato qualche anno fa, così come molti altri diari conservati nell’archivio, che se si chiede si può visitare.

#unadonnalgiorno

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