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Sumayya Vally architetta sudafricana

Sumayya Vally architetta sudafricana
Ph. Mpho Mokgadi

Credo ci sia assolutamente bisogno di più donne che disegnino cose. Non solo, abbiamo necessità di progetti di più persone differenti, una varietà di più voci. Nel mondo in cui viviamo, così problematico e che viene osservato solo dal punto di vista dominante dell’uomo bianco-occidentale, guardare in modo differente può contribuire a trovare soluzioni alternative, fornire risposte più varie.

Come donna ma anche come africana e musulmana vedo le cose in maniera differente. Posso portare un contributo dato dalla ricchezza di cultura e storia del mio continente. Più diversità di vedute e opinioni coinvolgiamo meglio è, con migliore ispirazione e maggiore ricchezza per affrontare le sfide.

Sumayya Vally è l’architetta sudafricana annoverata dal Time Magazine tra le 100 persone che saranno leader del futuro per il 2021.

Fondatrice di Counterspace, studio interdisciplinare che dirige insieme a Sarah de Villiers e Amina Kaskar, è stata la più giovane architetta di sempre a vincere la prestigiosa commissione per il Serpentine Pavilion, struttura temporanea nei giardini di Kensington che segna l’inizio della stagione estiva a Londra.

Nata nel 1990, Sumayya Vally è un’indiana sudafricana cresciuta a Laudium, cittadina dell’apartheid a Pretoria. La sua città natale ha svolto un ruolo centrale nel plasmare la sua comprensione della terra, del luogo e del potere dell’architettura di connettere le persone, ha imparato a utilizzare l’architettura come un’arma. Ha interiorizzato l’infrastruttura tossica della pianificazione urbana dell’apartheid, che ha utilizzato di tutto, dalle discariche di rifiuti radioattivi delle miniere agli impianti fognari e alle zone industriali per segregare le razze.

Si è laureata a Johannesburg, città che ha plasmato il suo approccio architettonico e la passione per lo spazio urbano e nel 2015 vi ha aperto il suo studio. 

Prima di laurearsi ha collaborato con una ONG e condotto progetti di ricerca e installazione per diversi musei nazionali.

Nel corso degli anni ha esplorato molte zone di Johannesburg, scegliendo diverse comunità su cui concentrarsi. Tutti questi luoghi hanno influenzato la sua pratica e il suo approccio alla progettazione che tiene conto di usi e modi di vita diversi. La sua è un’architettura sociale e pubblica, inclusiva e diversificata, una lettura urbana a ampio spettro.

Nel 2018 ha collaborato con l’università di Yale. La sua ricerca sulle discariche e sui problemi nei territori circostanti – sistemi socio-economici, credenze, tossicità, razzismo, cambiamento climatico – e su come influenzano la formazione delle città, è diventata una mostra alla Biennale di Architettura di Chicago nel 2015. Successivamente, la parte del progetto dedicata alla ricerca sui pigmenti è diventata l’installazione di specchi Folded Skies per il festival Spier Light Art a Stellenbosch nel 2018.

Pan African Plates è invece un suo progetto che esamina come le diverse comunità si riuniscono attorno al cibo.

In un villaggio a nord di Pretoria ha ideato una installazione mobile per aiutare i bambini a conoscere la matematica attraverso le forme distinte che si trovano nelle facciate dipinte delle case.

Questa stratificazione di design, storia, cultura e ricerca archivistica è la base fondante della sua progettazione. Parte sempre dal concetto di convivenza e mescolanza di culture, segregazione, esplorazione di terreni comuni nei quali dialogare e da come il background culturale o politico, può influenzare il modo in cui si vive e struttura l’ambiente urbano.

Nel 2019 le è stato affidato il progetto del Serpentine Pavilion a Londra la cui inaugurazione è slittata di un anno a causa della pandemia. I materiali usati provengono da rifiuti edili riciclati, ma prima di lavorare sulla struttura fisica, ha svolto un intenso lavoro di ricerca sulle comunità di migranti a Londra.

Ha fotografato spazi, luoghi di ritrovo recenti o passati, manifesti di eventi, spazi di produzione culturale. Si è imbattuta nel primo locale per suonare musica nera nel Regno Unito; la casa editrice Centerprise centro per la comunità delle Indie Occidentali; il Theatre of Black Women, la prima compagnia teatrale di donne nere della Gran Bretagna, attiva negli anni ’80; l’iconico ristorante Mangrove Caribbean a Notting Hill; la prima moschea di Londra; e luoghi informali, come i luoghi di festival e eventi di strada che ha fatto convergere nella realizzazione della sua opera che vuole essere un luogo di incontro e scambio per tutte le culture.

L’architettura è complice della segregazione, delle differenze e del dislocamento, e Johannesburg ne è un esempio molto profondo. Ma può anche essere una forza che agisce in senso contrario: per riunire le persone, evidenziare e amplificare voci e identità attraverso il design.

#unadonnalgiorno

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