Eleonora d’Arborea, leggendaria sovrana e eroina nazionale sarda, passata alla storia per l’aggiornamento della Carta de Logu, carta legislativa rimasta in vigore fino al 1827.
Grande protagonista del medioevo italiano, ha combattuto strenuamente per amore della sua terra.
Nella seconda metà del XIV secolo divenne giudicessa d’Arborea e per tutta la sua vita il suo obiettivo fu quello di unire l’isola, svincolandosi dal vassallaggio alla corona aragonese.
Nata in Catalogna nel 1347, figlia di Mariano IV e di Timbora di Roccaberti, in tenera età si trasferì in Sardegna con la famiglia. Il padre fu uno dei maggiori governanti del giudicato d’Arborea, difensore dell’autonomia, la cui linea politica era permeata dalla visione di una Sardegna indipendente da qualsiasi ingerenza straniera.
L’isola, nel medioevo, era divisa in quattro territori autonomi, i giudicati (Torres, Arborea, Gallura, Cagliari), la cui indipendenza venne meno quando il papa, nel 1297, elevò la Sardegna, assieme alla Corsica, al rango di regno, donandola come dominio feudale a Giacomo II, re d’Aragona. Alla conquista territoriale aragonese si oppose, il giudicato di Arborea guidato da Mariano IV, padre di Eleonora, che nel 1353, iniziò un conflitto durato cinquant’anni, la guerra sardo-catalana, che contrappose l’Arborea alla corona iberica che voleva trasformare l’intera isola in una provincia del regno d’Aragona.
Per suggellare alleanze contro la Spagna, Eleonora sposò Brancaleone Doria, del casato genovese che vantava vasti possedimenti a nord dell’isola. Successivamente, nel 1382, sottoscrisse un ingente prestito alla Repubblica di Genova e si accordò per far sposare suo figlio con la figlia del doge. In sostanza, si immise con rango paritario nel gioco della politica europea.
Quando suo fratello Ugone III venne assassinato, Eleonora d’Arborea propose a Pietro IV, re d’Aragona di riconoscere il figlio Federico come legittimo successore al governo e inviò il marito a trattare personalmente col sovrano. Rientrata in Sardegna, stroncò con energia ogni forma di ribellione in atto sui suoi territori. Il suo scopo era riunire sotto un’unica guida la maggior parte del territorio sardo. Ma la corona aragonese, constatando il pericolo dei piani di queste importanti casate, prese in ostaggio Brancaleone, per ricattarne la moglie.
Di tutta risposta, la nobildonna, nel 1383, punì i congiurati e si autoproclamò giudicessa di Arborea, nominandosi reggente per il figlio minorenne che riuscì a far eleggere nell’assemblea della Corona de logu, violando il principio del vincolo vassallatico.
Eleonora d’Arborea fu una stratega di guerra ma aveva anche grandi capacità diplomatiche, per cui iniziò una trattativa di pace tra il giudicato e la corona aragonese che durò tre anni.
Dopo gli accordi raggiunti con la Spagna, la sovrana si dedicò al riordino della Sardegna, garantì la difesa della sovranità e dei confini territoriali del giudicato e attuò un’opera di riordino e di sistemazione definitiva degli ordinamenti e degli istituti giuridici locali, revisionando la Carta de Logu, promulgata dal padre.
La Carta era una raccolta di leggi e usi giuridici che comprendeva 198 capitoli su norme di diritto civile e penale. Venne scritta in lingua logudorese, affinché fosse di facile comprensione alla fetta più ampia possibile di sudditi.
La sua emanazione rappresenta una tappa importante nella costituzione dello stato di diritto e uno dei più interessanti statuti del Trecento.
Grande importanza era data al fattore soggettivo del reato. Venne codificata una eccezionale sensibilità a persone, natura e ambiente, erano previste norme severe contro coloro che appiccavano incendi e contro gli stupri (nel caso di violenza carnale nei confronti di una nubile, il matrimonio riparatore era ammesso solo col consenso della donna). Gli aragonesi, successivi dominatori della Sardegna, comprendendone l’importanza, estesero l’ambito territoriale di applicazione della Carta de Logu a quasi tutta l’isola. Questa costituzione è rimasta in vigore per 500 anni fino a quando, nel 1827, venne adottato il Codice Feliciano.
Eleonora non mostrò mai una visione assolutista lontana dalle ragioni del popolo, ma piuttosto quella di chi ritiene di avere la propria legittimazione a regnare proprio nel popolo.
Gli interessi della giudicessa furono sempre legati a quelli dello Stato e fu lei a riportare la legge e l’ordine per porre un freno al dilagare della violenza dei sardi durante la guerra. Le leggi garantirono la pace e l’ordine.
Tale normativa fu la componente di una più vasta politica tesa allo sviluppo del giudicato arborense, nettamente avanzata rispetto alle legislazioni giuridiche ed amministrative del tempo.
Nel 1391 il marito Brancaleone, chiamò alle armi tutti i sardi dai quattordici ai sessant’anni per iniziare una nuova campagna militare. Con 100.000 uomini, riuscì a riconquistare quasi tutti i territori perduti in precedenza. Ma fu una conquista effimera per la sopraggiunta riscossa aragonese.
La morte di Eleonora d’Arborea avvenne in una fase di stallo del conflitto, con gli Arborensi che avevano ormai guadagnato il predominio sulla terra e gli aragonesi quello sul mare. La peste, allora dilagante in Europa, se la portò via nel 1404.
Sebbene la sua figura sia stata mitizzata, soprattutto per la scarsità di fonti verificabili, il ricordo delle sue imprese sono rimaste nella memoria del popolo sardo che, ancora oggi, la ricorda in rievocazioni storiche e leggende, continuando a tramandarne il nome attraverso la storia.
Il giudicato d’Arborea è stato l’ultimo Stato sardo autoctono a essere ceduto a regnanti esterni all’isola.
Eleonora d’Arborea, con la sua reggenza, dimostrò innovazione e democrazia, voleva portare il suo regno fuori dal Medioevo. Nelle leggi propugnate, attuò anche la liberazione dei servi, i lieros, e, oltre alle truppe mercenarie, costituì un esercito di concittadini.
Una regina che è stata un grande esempio di giustizia e lungimiranza, un orgoglio tutto sardo e ancora troppo sconosciuto al resto dell’Italia.
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