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25 novembre ogni giorno

opera di Marcella Campagnano

Il 25 novembre dovrebbe cadere ogni giorno, non basta una sola data, per quanto ricca di convegni, panchine e scarpe rosse, flash mob e chi più ne ha, più ne metta, per capire, individuare e contrastare la violenza contro le donne.

I dati dicono che oltre 60% di noi ha subito violenza o molestie almeno una volta nella vita. E io qui mi chiedo, ma come facciamo a saperlo, abbiamo chiesto a tutte davvero? Io personalmente non conosco nessuna donna che abbia avuto il privilegio e la gran fortuna di esserne esclusa. Da quando mettiamo piede su questo pianeta, tutte, quelle che lo ricordano e quelle che lo hanno rimosso, l’autocoscienza mi ha insegnato anche questo, ricordi archiviati ma a quanto pare non cancellati di molestie che hanno dettato i miei comportamenti e la mia personalità.

Dicevo, non esiste donna che non abbia dovuto imparare presto e sul proprio corpo a difendersi, scansare, negarsi, guardarsi le spalle. Ci provano in tutti i modi e tutti i giorni, uomini e donne, perché il patriarcato ha tante sfumature e purtroppo ingoia anche tantissime donne, a farci vergognare per ciò che siamo, per come vestiamo, per come ridiamo, per come ci comportiamo, per quanto usciamo o restiamo a casa, per quanto troppo o poco sesso abbiamo fatto, per aver avuto figli e per non averne avuti, per aver fatto carriera o non averla fatta. E intanto continuiamo a non essere rappresentate abbastanza in una società che si ostina a pensare, parlare e agire in un plurale maschile che pretende di coinvolgere anche l’altra metà del mondo. Eppure, sappiamo bene e sulla nostra pelle, che ciò che non si nomina, non esiste. Finché ci saranno ancora uomini che vogliono spiegarci come pensiamo, come agiamo, perché ci ammazzano, perché non troviamo il giusto spazio nel mondo, noi tutte, siamo vittime di violenza. Finché continueranno a chiederci se vogliamo avere figli prima di assumerci, finché rappresenteremo il numero più alto di laureate ma ai vertici ci saranno sempre uomini, finché ci metteremo in competizione una con l’altra per cercare di arraffare quel morso che è caduto dalla tavola del potere, nessuna di noi potrà dirsi esclusa dalla violenza di genere.

Non voglio nemmeno addentrarmi nelle centuplicate prevaricazioni che vessano quotidianamente le donne nere, migranti e lgbtq+ perché ci sarebbe da scrivere un’intera enciclopedia e, per chi segue i miei appuntamenti quotidiani, fornisco sovente nomi, esempi e libri di donne molto più qualificate di me a parlarne.

Violenza sì, sono le botte, i femminicidi, le torture, i ricatti subiti dalle donne per mano di uomini che pretendono di dominarne pensiero e azione, ma questo è il picco più estremo di una catena subdola che ha radici molto più profonde. E, purtroppo, nessuna di noi, di qualsiasi età, estrazione culturale e sociale, può dirsi avulsa da queste dinamiche.

Per capire di essere stata per anni in una relazione abusante, io che sono femminista, che faccio autocoscienza, che leggo, mi informo e milito, ci ho messo anni e l’ho realizzato davvero quando ne ero totalmente fuori, perché la violenza, la prevaricazione è molto molto più subdola di quello che possiamo concepire. In più, il coinvolgimento sentimentale, emotivo, annebbia e tende a farci giustificare ogni cosa o a mascherarcela con altre ragioni.

Ma no, chi pretende di leggere i tuoi messaggi, le tue mail, di sapere sempre con chi eri e cosa avete fatto, chi sminuisce i tuoi comportamenti e traguardi, chi non ti fa sentire mai abbastanza, chi dice che vuole stare con te da solo su un’isola deserta perché solo là può esserci la felicità, chi è geloso dei tuoi amici e amiche, chi pretende di limitare le tue azioni, chi vuole la tua attenzione tutta per sé, chi ti fa sentire in colpa se ti diverti fuori dalla vostra relazione, chi ti fa stare sempre in bilico, non si assume responsabilità, ti tradisce, ti mente, ti inganna, pretende di pensare per entrambi, sta agendo violenza contro di te, e spesso, non te ne accorgi perché sono comportamenti graduali, sotterranei, ammantati di passione, di parole d’amore, ma la parola giusta è violenza, dominio, prevaricazione.

Io, oggi, nella Giornata Contro la Violenza sulle Donne, non voglio copiare e riportare dati di quante sono state uccise, picchiate, trucidate per mano maschile che nella maggior parte dei casi era il partner, o l’ex, o un pretendente o comunque un membro della famiglia, perché ci si mettono anche i padri, fratelli e zii, a completare un quadretto già disperato di suo. Perché il femminicidio avviene per un solo e unico motivo, la donna non ha voluto sottostare a volere e imposizione dell’uomo, ha osato ribellarsi e fare di testa sua e per questo deve essere punita con la pena peggiore possibile, la morte sua e spesso anche dei suoi figli.

Non voglio soffermarmi sulla scena vergognosa avvenuta in Parlamento pochi giorni fa quando la nostra Ministra alle Pari Opportunità ha dovuto parlare in un’aula praticamente vuota, perché i suoi colleghi e colleghe avevano faccende più importanti a cui dedicarsi. Non voglio nemmeno parlare delle vittime collaterali, che sono le figlie e i figli ammazzati per vendetta dal padre per annientare la madre, o coloro che sono rimasti orfani a causa di un femminicidio, che non ricevono alcuna tutela da parte dello stato, e a prendersene carico sono i nonni, già devastati dalla perdita della figlia o finiscono peggio.

Certo, ci sarebbe da parlare dell’educazione ai sentimenti che deve essere obbligatoria in ogni scuola di ogni grado, dell’inasprimento delle pene, della prevenzione, del potenziamento dei centri antiviolenza laici e femminili in tutto il paese, della possibilità di abortire in ogni struttura pubblica come di cento altri apporti a tutela delle donne, del rinnovo statale del piano antiviolenza, della formazione delle forze pubbliche, le cose da fare sono infinite ma possibili, se c’è un reale impegno.

Voglio però terminare questo lungo sfogo di dolore ribadendo che la violenza agita contro le donne ha radici più profonde e se non cominciamo noi stesse ad aprire gli occhi, ma davvero, a smettere di farci la guerra tra di noi, di giudicarci, di condannarci, di partecipare a consessi dove sono presenti soltanto uomini, di giustificare, minimizzare, ridere sulle battute sessiste, attribuirci caratteristiche maschili per poter emergere, saremo sempre sommerse da quest’onda dilagante di violenza che ci travolge tutte, nessuna esclusa.

Noi siamo la metà del mondo, non siamo una questione, non siamo un tema, noi dobbiamo pretendere ciò che ci appartiene. Noi dobbiamo rompere continuamente, perché valiamo, perché dobbiamo rappresentarci e urlare ciò che non ci sta bene, perché esistiamo e senza di noi il mondo non può andare avanti.

Il contentino non ci deve bastare, se alziamo la testa tutte insieme, ma tutte, questa catena si spezza e consegneremo un mondo diverso alle nuove generazioni.

 

#unadonnalgiorno

 

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