La vita di un’artista di strada pone problemi particolari per le donne: mi preoccupo per la mia sicurezza e a volte ho paura, penso che dovrei lasciare, ma voglio rendere l’Afghanistan famoso per l’arte, non per la guerra.
Voglio usare i miei quadri per ricordare alla gente il valore delle donne. Le sto dipingendo grandissime. Voglio dire alla gente: guardateci in modo diverso.
Shamsia Hassani è la prima street artist dell’Afghanistan, con il suo lavoro vuole dare voce all’oppressione delle donne nella società. Insegna alla facoltà di Belle Arti di Kabul.
Nata in Iran, da rifugiati afghani originari di Kandahar, le era stato impedito di iniziare i suoi studi a causa della sua nazionalità. Rientrata a Kabul, nel 2005, si è iscritta alla facoltà di Arte e ha fondato il collettivo d’arte contemporanea Rosht.
Nel 2009, è stata selezionata tra i migliori dieci artisti del Paese.
Ha iniziato a dipingere su tela, ma, nel 2010, ha scoperto il potere comunicativo della street art, durante un workshop di un writer inglese, Wayne “Chu” Edwards.
Ha iniziato così a realizzare disegni sui muri per arrivare al cuore delle persone. Coi suoi graffiti vuole parlare al popolo con le immagini, portare l’arte nei luoghi del degrado, sulle pareti di edifici danneggiati dalla guerra e dai bombardamenti. E lasciare che mura abbandonate e sporche accolgano la rigenerante vitalità della pittura.
Nella periferia di Kabul, Shamsia Hassani, ha realizzato numerosi graffiti, per coprire le brutture della guerra e, allo stesso tempo, per non dimenticarle.
Sui muri di Kabul giganteggiano, da qualche anno, sagome in burqa dai color vividi, fatte con spray e spesso con colori acrilici e pennelli, in assenza di bombolette di buona qualità, che sul mercato locale si trovano a fatica.
I suoi graffiti rompono l’approccio iconoclasta dell’arte islamica e i suoi soggetti sono donne.
Avvolte nel tradizionale chador, in pose leggiadre, con strumenti musicali, o semplicemente immerse nei loro pensieri, queste figure femminili destabilizzano la sensibilità patriarcale e arrivano al cuore delle interessate.
Progetta digitalmente l’immagine da realizzare e poi, velo in testa e mascherina sulla bocca, inizia a lavorare. Lo fa molto velocemente perché, in quanto donna, quando è per strada a lavorare è sempre in pericolo. Rischia ogni giorno molestie o aggressioni; spesso le sono stati lanciati dei sassi.
Le sue figure sono imponenti, austere, arrivano fino alle nuvole e sono disegnate con una linea di contorno che curva sulla testa e si fa spigolosa in prossimità delle spalle; immagini quasi titaniche nel loro sforzo di presentarsi, dominare, farsi riconoscere e accettare.
Accanto ai loro corpi si stagliano belle linee curve e arricciolate, come bolle o onde del mare. Quei riccioli e quelle bolle sono l’emblema di parole non dette, ingoiate, taciute, che le donne afghane non hanno mai avuto il diritto di pronunciare.
Shamsia Hassani è ormai famosa in tutto il mondo, ha già esposto in India, Iran, Germania, Italia e Svizzera.
Nel 2014 è stata finalista per il premio Artraker con il suo progetto La magia dell’arte è la magia della vita. Lo stesso anno è stata nominata tra i 100 membri dei global thinkers.
Molto apprezzata sui social media, luogo più sicuro della strada per esprimere le proprie idee, ha co-fondato l’organizzazione Berang, per promuovere l’arte e la cultura contemporanea in Afghanistan attraverso laboratori, incontri e mostre.
Molto apprezzato il suo progetto Dream graffiti, realizzato lavorando su fotografie di luoghi non accessibili come, ad esempio, la nicchia del Buddha di Bamyan, fatto saltare con la dinamite nel 2002 dai Talebani. La presenza, anche solo immaginata di una donna, rappresenta un forte simbolo della rinascita sociale e culturale dell’Afghansitan.
Il messaggio di fondo risiede nel rimettere la donna al centro del percorso di progresso civile, nell’educazione, nel libero esercizio dei propri diritti come quello al voto, alla salute, all’istruzione, di opinione.
#unadonnalgiorno